Entusiasta, eclettico, energico, estroverso, empatico, Enrico cerca di usare con disciplina il telaio delle sue competenze, intrecciando i risultati del business e il raggiungimento degli obiettivi con le letture dei classici del pensiero manageriale e della letteratura. Ha lavorato in Italia e all’estero assumendo vari incarichi e cambiando spesso mansioni, dapprima nell’ambito dell’informazione e della comunicazione per poi appassionarsi alle risorse umane, strizzando l’occhio alle vendite e alla formazione commerciale. Oggi lavora come manager e formatore in una Corporate University, detta – bada ben – “Innovation Academy”, di una società multinazionale italiana. Non rinuncia a fare ricerca negli scampoli di tempo libero, a leggere e a perseguire con determinazione la pluridimensionalità dell’esistenza. E’ sposato con Francesca e papà di Paolo Lapo e Maria Chiara, ai quali ha dedicato alcune pubblicazioni che ha realizzato su tematiche dantesche e non.
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1. Perché hai scelto il lavoro/mestiere che fai?
Qual è il mestiere che faccio? Ogni tanto mi pare di essere un formatore. O di fare il formatore. Che del resto non è la stessa cosa. Di quando in quando, però, mi sveglio dall’assopimento, rinsavisco, razionalizzo e mi accorgo che dedico il mio tempo ad altro, vedendo sfarinare davanti agli occhi certezze e teorie. Per certo ho scelto il lavoro che faccio, cercando di raggomitolare attorno alla mia esistenza un filo conduttore con cui intesso l’attività attuale e le precedenti svolte. E’ vero, comunque, che “faccio” un lavoro. E’ vero al contempo che, come capita a tutti, è il lavoro a fare me: nel senso che il lavoro – quello stesso lavoro che nobilita gli esseri umani – mi plasma, mi forma, mi forgia. Giorno dopo giorno.
2. Qual è l’aggettivo che meglio definisce la tua attività?
Qui e ora, l’aggettivo è “evolutivo”. Ma vale per questo istante. Mentre sto scrivendo questa nota. Mentre rispondo a questa domanda. Nel momento esatto in cui l’ho pensato. Fra un po’, l’aggettivo sarà un altro. Diverso sarà il punto di vista sulle cose, in un incessante cambiamento di percezione, cambiamento che è il motore primo della vita. Dobbiamo abituarci a navigare nei mari delle complessità, cercando i piccoli atolli di certezze in cui sostare per riprendere il fiato. Sempre pronti a nuove traversate.
3. Qual è il tuo primo ricordo di una biblioteca?
Non ho un primo ricordo nitido di una biblioteca. Mi ricordo molte biblioteche frequentate: quelle di paese, con pochi scaffali, alcuni altissimi che per raggiungerli ti serve la scala, carichi di volumi talmente lontani dal suolo che finiscono dimenticati da tutti. E mi ricordo biblioteche di città, sterminate e gravide non solo di libri ma di ogni genere di supporto che favorisca la trasmissione del sapere e del piacere.
4. Come definiresti la biblioteca?
Chi più legge libri più aumenta l’estensione degli scaffali dei libri che gli rimangono da leggere. La biblioteca è così: è quel luogo che ti aiuta a comprendere che, per quanto tu abbia letto e immagazzinato conoscenze, il tuo sapere è nullo. E quanto più tu frequenti le biblioteche, tanto più comprendi che non sai, che il baratro dell’ignoranza caratterizza la tua essenza.
5. Cosa ti piace di più in una biblioteca?
Mi piace la varietà dei soggetti che la frequentano. Bambine e bambini di ogni età, studenti delle scuole superiori o delle università, ricercatori, pensionati, tante mamme, qualche papà. E la diversità è sempre occasione di ricchezza, di scambio, di crescita individuale e collettiva.
6. Quale è stato il primo libro che hai letto?
Mah. Non ricordo. So che ho divorato collezioni di Topolini e che fin da piccolissimo leggevo il quotidiano dei grandi. Da ragazzino mi piacevano i gialli e i fumetti: in biblioteca ne ho presi in prestito a decine.
7. Quale libro ti ha lasciato un ricordo speciale?
Un ricordo speciale me lo lascia la Divina Commedia. Con questo libro tra le mani ho trascorso e continuo a trascorrere molte ore, cercando di capire come quelle magiche terzine di endecasillabi possano risuonare nelle diverse età della vita delle persone.
8. Quale libro consiglieresti a un giovane lettore?
Ai giovani lettori consiglio sempre di leggere i libri che danno loro emozioni positive, libri che piacciono. Quando incontro insegnanti che suggeriscono i libri che i ragazzi e le ragazze “devono” leggere, il mio confronto dialettico con loro diventa acceso. Solo accostandosi con piacere alla lettura, questa attività diventa una passione e solo con la passione ci si può accostare con il tempo a qualunque testo.
9. Leggere fa bene? E perché?
Leggere fa bene, eccome! Con un bel libro, si possono vivere al contempo più esistenze. E leggere un classico è una vera fonte di benessere e di benevolenza per sé. Provare per credere.
10. A quale altra domanda avresti voluto rispondere?
Avrei voluto rispondere alla domanda che mi chiedeva se ci fosse un’ulteriore domanda a cui avrei voluto rispondere. Ma poi, una volta formulato il quesito, sarebbe sfiorito in me il desiderio di rispondere a quella domanda. E quindi dovrei pensare a un’altra. Ho risposto?
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