Sguardi insoliti. Persone e luoghi di Venezia, Maggio dei Libri 2023
Matteo Corradini sarà ospite in Biblioteca giovedì 19 maggio alle ore 18.00. Dialogherà attorno al suo libro “Per chi splende questo lume: la mia vita oltre Auschwitz” con Donatella e Raffaella Cipolato, figlie di Virginia, la protagonista del libro.
Nato nel 1975, Matteo Corradini è ebraista e scrittore. Pubblica con Bompiani e Rizzoli. Dottore in Lingue e Letterature Orientali con specializzazione in lingua ebraica, si occupa di didattica della Memoria e di progetti di espressione. Prepara reading musicali e regie teatrali. Premio Andersen 2018, Premio Leipzig 2018, Premio Primo Romanzo 2014. Dal 2010 è tra i curatori del festival scrittorincittà (Cuneo). Dal 2003 fa ricerca sul ghetto di Terezín, in Repubblica Ceca, recuperando storie, oggetti, strumenti musicali. Ha fondato il Pavel Žalud Quartet e il Pavel Žalud Trio in Italia ed è tra i fondatori dell’Institut terezínských skladatelů (Terezín Composers Institute) in Repubblica Ceca. Tra i suoi ultimi libri, i romanzi Irma Kohn è stata qui (Rizzoli), Se la notte ha cuore (Bompiani), il saggio-manuale Tu sei Memoria (Erickson), la cura del Diario di Anne Frank (BUR Rizzoli), la cura delle memorie di Virginia Gattegno (Per chi splende questo lume, Rizzoli), l’opera illustrata Fu Stella (Lapis). I suoi libri sono tradotti da RandomHouse in Germania e da Gallimard in Francia.
1. Perché hai scelto il lavoro/mestiere che fai? Volevo fare la rockstar. Ma non ho mai imparato a suonare la chitarra, e in più non ho tanti capelli. Mi mancavano le basi.
2. Qual è l’aggettivo che meglio definisce la tua attività? Civilmente stralunata.
3. Qual è il tuo primo ricordo di una biblioteca? Un posto caotico, pieno di libri apparentemente in disordine. Scoprii anni dopo che il disordine non era solo apparente.
4.Come definiresti la biblioteca? È un posto dove non c’è riposo per i libri, per i cuori e per le menti.
5.Cosa ti piace di più in una biblioteca? Trovare libri che non cerco. E l’odore di biblioteca, che è un misto di carta, colla, umido (a volte), legno, e desiderio di conoscere. Una fragranza buonissima.
6.Quale è stato il primo libro che hai letto? Tra i tanti, ricordo “La coccinella sempre arrabbiata” di Eric Carle (Emme Edizioni).
7.Quale libro ti ha lasciato un ricordo speciale? L’isola del tesoro a 12 anni. Lo leggevo in contemporanea al mio migliore amico e ne parlavamo. Non l’ho più riletto, mi basta quella lettura.
8.Quale libro consiglieresti a un giovane lettore? Se ha 13 anni, consiglierei il Diario di Anne Frank.
9.Leggere fa bene? E perché? Credo che leggere, un po’, abbia fatto anche un po’ male a tutti noi che amiamo leggere. Come fanno male le cose che ti mettono di fronte alla verità, anche di te stesso.
10.A quale altra domanda avresti voluto rispondere? Non mi hai chiesto se ho mai attratto il cuore di una ragazza con un libro. Ti avrei risposto così: sempre.
Gemma Moldi sarà ospite in Biblioteca venerdì 27 gennaio alle ore 18.00. Presenterà il suo libro “Scrivimi sempre” dialogando con Stefania Bertelli, accompagnate dalle letture di Alessandra Prato e dalle note musicali di Alessandra Trentin.
Gemma Moldi è nata a Venezia, si è laureata in Filosofia presso l’Università Cà Foscari e si è poi dedicata all’insegnamento delle materie letterarie nella scuola media. Si è impegnata in progetti di animazione teatrale, in laboratori per alunni con difficoltà di apprendimento e in attività per prevenire il disagio tra Mestre, Spinea e San Donà di Piave. Ha pubblicato fiabe e racconti per ragazzi, ha collaborato con musicisti attorno ad alcune fiabe musicali di cui ha curato i testi e si è dedicata alla ricerca storica per molto tempo restituendoci il prezioso libro edito dalla casa editrice Giuntina, che viene presentato in Biblioteca.
1. Perché hai scelto il lavoro/mestiere che fai? Ho fatto l’insegnante per molti anni. Ho scelto questo lavoro perché ho sempre desiderato condividere le mie conoscenze. Studiare, scoprire i grandi della letteratura, superare le difficoltà della scrittura e del raccontarsi, inquadrare storicamente gli eventi, cercare in quei percorsi spiegazioni che aiutino ad orientarsi nella vita, sono attività che hanno avuto sempre una grande importanza per me, sono state fonte di soddisfazione e il desiderio di fare la mia parte per diffonderne la conoscenza mi ha condotta all’insegnamento. Lasciato l’insegnamento, la scrittura di racconti, la collaborazione con musiciste e la ricerca storica mi hanno permesso di rivolgermi ad un pubblico più ampio ma lo scopo in fondo è lo stesso: trovare qualcuno con cui condividere conoscenze e pensieri, cercare di dare un contributo affinché la cultura raggiunga sempre più persone.
2. Qual è l’aggettivo che meglio definisce la tua attività? Mi viene in mente un sostantivo: ricerca.
3. Qual è il tuo primo ricordo di una biblioteca? A dodici anni, la biblioteca civica di Mestre, di fronte all’attuale sede del Municipio. Una scala ripida di marmo bianco e una grande sala poco luminosa dove scaffali di libri mi guardavano con aria severa. Con due amiche dovevamo fare una ricerca per la professoressa di inglese. Combinammo ben poco perché alla fine ci prese la ridarella però ricordo che, quando a casa mi misi a sistemare gli appunti, decisi tra me che ci sarei tornata da sola: l’avere tra le mani un volume dell’enciclopedia rilegato in pelle, il silenzio, le poche persone assorte nella lettura mi fecero sembrare la biblioteca un posto prezioso e speciale.
4. Come definiresti la biblioteca? Come dicevo è un luogo prezioso e speciale, la definirei un tesoro.
5. Cosa ti piace di più in una biblioteca? L’atmosfera. Ci sono luoghi dove si percepisce che l’umanità è capace di buone azioni, che può amare il bello, coltivare la filosofia e il ragionamento critico, la scienza e l’arte: il silenzio carico di attesa prima di un concerto, il respiro di una sala di lettura, la meravigliosa concentrazione che per alcuni istanti prende una classe intenta a scrivere un tema d’italiano o a disegnare… E naturalmente mi piace sapere che esiste perché la considero un’estensione della mia biblioteca privata, un luogo a cui attingere in caso di necessità. Ora poi le biblioteche sono diventate punti di incontro, propongono iniziative originali aperte al territorio e alla cittadinanza e questo le rende ancora più preziose.
6. Quale è stato il primo libro che hai letto? Non ricordo con precisone. Mi vengono in mente La capanna dello zio Tom, una raccolta di fiabe di Andersen e le sintesi dei grandi romanzi offerte in allegato ai fascicoli dell’Enciclopedia della fanciulla. Un’era geologica fa… Quelli erano i libri “ufficiali”, poi per conto mio leggevo qualsiasi altra cosa trovavo in casa.
7. Quale libro ti ha lasciato un ricordo speciale? Pensando sempre alle mie prime letture, sicuramente David Copperfield è stato il libro che più ho amato. Non lessi una versione per bambini ma l’originale, un tomo di oltre 700 pagine che mi regalarono intorno ai dieci anni e che lessi con grande piacere nonostante alcuni punti mi risultassero oscuri. Da quel momento in poi Dickens è diventato uno dei miei compagni di avventura. Letto e riletto insieme a tanti altri che poi si sono aggiunti e che, a seconda del periodo, mi hanno regalato un ricordo speciale. Cito alla rinfusa: Dumas, Proust, Balzac, Philip Roth, Faulkner, Ortese, Ginzburg, Romano, La Capria, Meneghello, Pratolini, Calvino, Thomas Mann, Cohen, Primo Levi, Yourcenar, Pamuk… Mi rendo conto che l’elenco sarebbe troppo lungo e non finirei più. Sono davvero tanti e di ognuno di loro mi piacerebbe raccontare qualcosa.
8. Quale libro consiglieresti a un giovane lettore? Non credo molto alla figura del “giovane lettore”. La lettura è un’esperienza individuale e quindi si può generalizzare fino ad un certo punto. E, inoltre, non sono così esperta sull’argomento. Credo perciò che ad un giovane lettore consiglierei di andare in una biblioteca dove esiste una collaborazione con le scuole oppure in una libreria dove c’è un libraio o una libraia che si informa e legge quello che mette in vetrina. Sono persone esperte che sanno dare consigli anche sulle novità e sanno porre domande sulle preferenze di ognuno. In generale, comunque, consiglierei di non aver paura dei classici perché sono spesso molto più vicini di quanto possiamo immaginare. Mi pare che implicitamente le domande di questo questionario si riferiscano ai libri di narrativa ma è lettura anche la saggistica e se un ragazzo o una ragazza sono appassionati di astronomia o biologia marina un libro può essere anche un saggio di divulgazione scientifica. E anche qui una brava bibliotecaria o una libreria possono dare utili suggerimenti.
9. Leggere fa bene? E perché? Leggere fa bene perché ci racconta una parte di quello che siamo come individui o come collettività, ci pone quesiti, ci può aiutare a mettere gli eventi in prospettiva, ci può dar fastidio o farci ragionare, può portarci lontano o nel proprio intimo sentire, può farci sognare o riflettere o tutte e due le cose insieme, può accrescere le nostre conoscenze ed alimentare la nostra capacità di giudizio critico, può aiutarci a comprendere gli altri, i loro comportamenti e le relazioni umane. In certi libri di narrativa ho sentito una tale assonanza con l’autore da sentirmi autrice con lui. E un po’ questo è vero perché l’umanità è il tratto che ci accomuna e ci rende capaci di comprensione reciproca.
10.A quale altra domanda avresti voluto rispondere? È stato interessante rispondere a questo questionario? Sì, perché mi ha dato modo di riflettere su temi a me cari e ringrazio la biblioteca per l’opportunità.
Paolo Lanzotti sarà ospite della Biblioteca venerdì 18 novembre alle ore 18.00 e dialogherà con Cristina Giussani attorno al suo ultimo romanzo “Le ragioni dell’ombra : Venezia 1753. Un’indagine di Marco Leon, agente dell’Inquisizione di Stato“.
Nato a Venezia. Laureato in filosofia all’università di Padova. Insegnante, prima di filosofia, poi d’italiano. Attualmente in pensione. Lettore onnivoro, con predilezione per la storia e la divulgazione scientifica. Ama la musica classica e il teatro di prosa. Risiede ancora a Venezia, ma vive tra Venezia e Padova.
1. Perché hai scelto il lavoro/mestiere che fai? A costo di cadere un po’ nella retorica credo sia il mestiere ad aver scelto me. Quand’ero giovane le mie ambizioni erano altre. Sognavo di fare qualcosa in campo musicale. Ma stiamo parlando dei fatidici anni ’70. A quel tempo il novanta per cento dei giovani aveva lo stesso sogno nel cassetto. E poi io sono un modesto autodidatta. Non sono mai stato un musicista vero. Quindi, a un certo punto, ho dovuto rendermi conto che quella strada era sbagliata e mi sono messo a cercarne un’altra. È stato allora che ho sentito il richiamo. Avevo delle storie in testa. Non potevo raccontarle in musica, ma perché non provare a farlo con carta e penna? Tutto è cominciato così. Col mestiere di scrittore che mi chiamava, spazientito con me per il tempo che avevo perso fino a quel momento inseguendo delle chimere.
2. Qual è l’aggettivo che meglio definisce la tua attività? Certosina. O forse, ossessiva. Ahimè! Io sono uno di quegli autori che Raymond Calvert – se non ricordo male – definiva “masochisti”. Ho sempre bisogno di ricominciare da capo, riprendendo il romanzo dalla prima riga. Sono capace di rileggere dieci volte una pagina solo per cambiare un aggettivo o una virgola. Taglio, aggiungo, taglio di nuovo e aggiungo ancora. Alla fine, comunque, non sono mai soddisfatto. Come dico spesso, quando ho terminato di scrivere un romanzo è come se ne avessi scritti dieci. Calvert aveva ragione. È da masochisti. Ma io non riesco a lavorare diversamente.
3. Qual è il tuo primo ricordo di una biblioteca? Il mio primo ricordo è di natura scolastica. La mia insegnante mi aveva assegnato una ricerca e io ho messo piede nella biblioteca comunale senza sapere bene cosa aspettarmi né tanto meno come funzionasse. Un classico, vero? L’esperienza è stata disastrosa. Ero molto giovane e non avevo la più pallida idea di cosa significasse “fare ricerca”. Nessuno me l’aveva mai insegnato. Quindi mi sono limitato a scopiazzare qualche pagina qua e là, quasi senza capire cosa stessi facendo. Per fortuna, poi sono cresciuto.
4. Come definiresti la biblioteca? Uno scrigno aperto, pieno di tesori. Troppo retorico e scontato? Be’, io la penso così.
5. Cosa ti piace di più in una biblioteca? Rifacendomi alla risposta precedente, ciò che mi piace di più è il pensiero che una biblioteca dona i suoi gioielli a tutti, indistintamente. Frequentare una biblioteca azzera ogni distinzione di età, di genere o di condizione sociale. La biblioteca è generosa, aperta, democratica e tollerante. Il che è molto più di quanto, in genere, possiamo aspettarci dalla società che ci circonda.
6. Quale è stato il primo libro che hai letto? Data la mia età, rispondere a una domanda del genere significa fare uno sforzo di memoria davvero grande. Se ci penso, il primo titolo che mi viene in mente è “Ventimila leghe sotto i mari”. Ma forse è solo il libro che mi ha colpito di più da bambino. Non posso essere sicuro che sia stato anche il primo. Anzi, considerando il tipo di storia che racconta è molto probabile che non lo sia. Ma, evidentemente, quelli che ho letto in precedenza non mi hanno colpito in modo altrettanto profondo. Quindi diciamo che è stato il primo.
7. Quale libro ti ha lasciato un ricordo speciale? Dipende da cosa s’intende e a quale epoca si fa riferimento. Da bambino, oltre al già citato “Ventimila leghe sotto i mari”, sono rimasto colpitissimo da “L’isola del tesoro” e da “Il richiamo della foresta”. Da adulto ho incontrato diversi romanzi che mi hanno lasciato sensazioni o ricordi particolari. Tempo permettendo sono un lettore compulsivo e, se fosse per me, avrei sempre un libro in mano. Se proprio devo citarne uno solo penso a “Il nome della rosa”. Ma, come dicevo, è solo uno.
8. Quale libro consiglieresti a un giovane lettore? Uno? Come prima, temo sia impossibile rispondere a questa domanda per me. Di libri da consigliare ne avrei moltissimi. Personalmente indicherei i grandi classici dell’avventure. Melville, Stephenson, Conrad, London, Salgari, Verne. Tuttavia mi rendo conto che sarebbe un consiglio a rischio. Io ho una certa età e questi nomi mi vengono spontanei. Ma probabilmente le nuove generazioni li troverebbero datati, se non addirittura noiosi. E poi, si sa, il libro consigliato da altri non è quasi mai quello che si preferisce. Ciascuno di noi legge a modo suo e ciò che piace a qualcuno può non piacere ad altri. Insomma, meglio che ciascuno scelga per conto proprio.
9. Leggere fa bene? E perché? Leggere fa benissimo, allo spirito e alla mente. Perfino al corpo, in un certo senso. In quanto al perché, temo che dovrò cadere nel già sentito. Fa bene perché allarga gli orizzonti mentali, aiutandoci a combattere i pregiudizi. Fa bene perché ci fa conoscere altri mondi e realtà che non avremmo mai la possibilità di frequentare di persona. Fa bene perché stimola la fantasia. Fa bene perché ci permette d’entrare in contatto con opinioni diverse dalle nostre, allenandoci alla tolleranza e al rispetto. Fa bene semplicemente perché ci diverte e ci fa passare delle ore liete in compagnia di storie appassionanti e personaggi indimenticabili. Sì, lo so: sono cose sentite mille volte. Ma una verità non ha bisogno d’essere originale, non è vero?
10. A quale altra domanda avresti voluto rispondere? Penso che dieci siano sufficienti. Magari a farmi altre domande ci penseranno i lettori. È sempre la cosa migliore.
Incontreremo Michele Catozzi in Biblioteca sabato 26 novembre alle ore 17.00 L’autore in dialogo con Stefano Cosmo, ci farà conoscere da vicino il commissario Aldani, protagonista dei suoi romanzi “Marea tossica” e “Muro di Nebbia“
Nato a Mestre nel 1960, Michele Catozzi ha vissuto a lungo in Veneto. Ha passato molti anni a Treviso, dove si è occupato di editoria e giornalismo. Dopo aver scritto diversi racconti, pubblicati in antologie e riviste, nel 2015 ha pubblicato Acqua morta, il primo romanzo della serie che vede come protagonista il commissario Nicola Aldani della Questura di Venezia, apparso in TEA, cui hanno fatto seguito Laguna nera (2017), Marea tossica (2019) e Muro di nebbia (2021). Nella vita reale Michele Catozzi è un ingegnere informatico.
1. Perché hai scelto il lavoro/mestiere che fai? Da anni mi destreggio tra i mestieri di ingegnere informatico, di giornalista e di romanziere. Il primo l’ho scelto per passione, il secondo per curiosità, il terzo per vocazione. O viceversa?
2. Qual è l’aggettivo che meglio definisce la tua attività? L’anima informatica dice “razionale”, quella giornalistica suggerisce “lucida”, quella autoriale opta per “creativa”. Il che è già un bel guazzabuglio. Sia detto en passant, non è affatto facile conciliare queste tre anime, anche se l’ibridazione tra informatico e romanziere mi ha consentito di produrre il cyber thriller Netcrash. L’ibridazione tra giornalista e autore ha invece prodotto (e continua a produrre) l’Eco dell’Altana, una meta-rivistina curata da un personaggio (un giornalista di cronaca nera, ça va sans dire) dei romanzi del commissario Aldani. Ci sono anch’io e l’amico commissario. Sì, perché Aldani esiste davvero, lo sapevate?
3. Qual è il tuo primo ricordo di una biblioteca? La vecchia sede della biblioteca di Mestre, alla Provvederia in via Palazzo, cui si accedeva dalla ripida scala di pietra esterna. Era come per un mortale salire all’Olimpo, con lo stesso timore reverenziale. Come entrare nel tempio del silenzio. Prima di lasciare Mestre per Treviso feci però in tempo a frequentare, da liceale, la nuova sede all’inizio di via Piave, dove la prescrizione del silenzio ancora vigeva, ma meno inflessibile. I tempi stavano cambiando.
4. Come definiresti la biblioteca? Un luogo votato all’accumulo seriale di volumi a beneficio di tutti. E anche l’unico dove puoi trovare la leggendaria Enciclopedia Treccani. D’altra parte sono stato segnato da piccolo dalle enciclopedie (vedi oltre)
5. Cosa ti piace di più in una biblioteca? L’accumulo seriale di volumi, per l’appunto. Sì, lo so, detto così ha un che di patologico, ma tant’è…
6. Quale è stato il primo libro che hai letto? Non so se vale come libro: l’enciclopedia Garzanti in cinque volumi del 1959 che girava per casa. Copertina rigida blu notte. Ci passavo sopra le ore saltando da una voce all’altra, da un tomo all’altro, travolto dal fascino di quell’ipertesto ante litteram. Incredibilmente ancora ricordo l’ultima voce: Zworykin, un russo-americano che nel 1933 inventò l’iconoscopio per gli apparecchi televisivi…
7. Quale libro ti ha lasciato un ricordo speciale? La memoria vacilla, ma la butto lì: Viaggio al centro della terra di Verne e un vecchio giallo Mondadori (di quelli col testo su due colonne per pagina) di cui non ricordo il titolo, ma di cui però rammento un particolare (allarme spoiler!): l’assassino nasconde le tracce di una puntura mortale al braccio della vittima sotto la bruciatura di una stufa.
8. Quale libro consiglieresti a un giovane lettore? Aiuto! Quando mi vengono chiesti consigli di lettura di solito entro in un loop di indecisione infinito. Trattandosi poi di giovani lettori, un mondo imperscrutabile, entro in crisi. Credo che non esista il libro perfetto per tutti, ma che ognuno debba scovare il proprio. L’unico modo è leggere “qualunquemente” (come direbbe un famoso Cetto…) e applicare i geniali “Diritti del lettore” enunciati da Daniel Pennac. In particolare il diritto di non leggere (perché la lettura dev’essere una scelta), il diritto di saltare le pagine e quello di non finire il libro (perché ce ne sono tanti altri), il diritto di leggere qualsiasi cosa. Un grande, Pennac.
9. Leggere fa bene? E perché? Leggere fa benissimo, perché impari parole, e le parole sono essenziali per esprimere pensieri. Senza parole non siamo nulla. E i libri sono pieni di parole.
10. A quale altra domanda avresti voluto rispondere? “Quando esce il tuo prossimo romanzo?” No no, dai, scherzo! Ma anche no… È la domanda che spesso mi rivolgono i lettori. Un incubo, a volte, ma anche un grande stimolo per continuare a scrivere.
Nato a Padova nel 1959, lavoro a Venezia e a Mirano. Ho frequentato la Scuola Internazionale di Grafica di Venezia ed Urbino e mi sono laureato in Semiologia delle Arti all’Università di Bologna, dove sono stato allievo di Umberto Eco, Renato Barilli, Omar Calabrese e Flavio Caroli. Ho iniziato a dipingere nel 1971 ed esporre dal 1977 in mostre personali e collettive in Italia, Belgio, Croazia, Francia, Germania, Spagna, Brasile, Argentina, Cina, Israele, Giappone, Stati Uniti.
Dal 1988 mi occupo di iconografia ebraica. Dal 1993 sono parte del gruppo Triplani che partendo dalla semiologia biplanare, prende il nome dall’ipotesi di un terzo livello percettivo derivato dall’aura simbolica, accanto a quelli del significato e del significante. Nel 1998 sono tra i soci fondatori di Concerto d’Arte Contemporanea, associazione culturale che si propone di riunire artisti con le stesse affinità per riqualificare l’uomo ponendolo in sintonia con l’ambiente e rendere l’arte contemporanea conscia dei suoi rapporti con la storia e la storia dell’arte, anche interagendo con esposizioni nei parchi, ville, edifici storici e piazze di città d’arte. Dal 1999 ho avviato un ciclo di conferenze, sulla sua attività nel contesto della cultura ebraica, della logica matematica e dell’arte contemporanea. Dal 2004 con Maria Luisa Trevisan abbiamo dato vita a PaRDeS Laboratorio di Ricerca d’Arte Contemporanea a Mirano (VE) dove artisti di generazioni e culture diverse si confrontano su temi naturalistici e scientifici. In occasione delle olimpiadi di Pechino 2008 ho esposto all’Olympic Fine Arts. Nel 2011 al Padiglione Italia alla 54ª Biennale di Venezia.
“Dalle leggi razziali alla Shoah – Geschmay e Ravà due famiglie nella bufera”
lunedì 27 gennaio 2020 alle ore 18,00 in Biblioteca a Spinea (VE), in occasione delle celebrazione per il Giorno della Memoria, Tobia Ravà racconterà le vicende della sua famiglia, tra Venezia e Spinea, negli anni bui della persecuzione razziale.
Per l’occasione saranno esposte alcune opere dell’artista.
1. Perché hai scelto il lavoro/mestiere che fai?
Essere artista forse non è proprio un mestiere, è una impellente vocazione che uno sente dentro di sé. Se pensi di essere veramente un artista lo sei sempre in ogni momento della tua giornata, anche quando dormi. E’ una necessità di creare qualche cosa di nuovo che metta in gioco le categorie precedenti, le forme e i contenuti consolidati. E’ esprimere un punto di vista personale che rimetta in discussione cose in origine magari in apparenza banali, liberando invece un’anima impensabile che disintegri le logiche istituzionali per proporre un nuovo punto di vista.
2. Qual è l’aggettivo che meglio definisce la tua attività?
Per sottolineare perentorietà o urgenza direi “assolutamente”, che non è un aggettivo ma un avverbio che definisce, nel mio caso, la necessità impellente di ricorrere all’arte per sottolineare un problema o per ridefinire un oggetto in modo da provocare degli interrogativi. “Assolutamente” è una curva di parabola verso l’assoluto lungo un asintoto che tende all’infinito.
3. Qual è il tuo primo ricordo di una biblioteca?
La Querini Stampalia per me è il prototipo delle biblioteche, era il posto dove si andava a studiare al tempo del liceo a Venezia, a ripensarci mi pare di sentire ancora quei bisbigli tra studenti, i parchetti croccanti e qualche tonfo di libro in bilico urtato per sbaglio. Ero un “agente disturbatore” consapevole comunque di essere in un luogo meraviglioso.
4. Come definiresti la biblioteca?
Come la banca è il deposito della sostanza, dei valori materiali, così la biblioteca è il deposito dei valori spirituali. La banca dovrebbe far fruttare i tuoi beni materiali, ma spesso succede che magari rimani con un pugno di mosche. La biblioteca non ti delude mai, comunque quando esci sei più ricco dentro e se sai cercare puoi crescere molto di più di quello che avresti pensato. La biblioteca non ti toglie mai.
5. Cosa ti piace di più in una biblioteca?
La biblioteca ti dona senza pretendere da te nulla in cambio. E’ fondamentale per ogni luogo, per ogni paese anche piccolo avere una biblioteca per poter far crescere cultura e conoscenza, fondamentali per eliminare i pregiudizi e i luoghi comuni. Per una società evoluta è necessaria una istruzione diffusa e capillare.
6. Quale è stato il primo libro che hai letto?
Non me lo ricordo, forse qualche cosa di Salgari ma poi i molti libri che erano in casa. Tanti stampati prima della guerra che erano in casa a Spinea dai nonni materni. Mi ricordo la storia di un asino volante sopra il lago d’Iseo ma non ricordo il titolo, forse “Marchino”. E poi i Dussi, letteratura fantastica un po’ celtica con disegni bellissimi dei primi anni sessanta. Chissà dove sono andati a finire…
7. Quale libro ti ha lasciato un ricordo speciale?
“La notte” di Elie Wiesel è stato forse il primo libro autobiografico sulla Shoah. Sicuramente la lettura di questo libro è stato il momento angosciate in cui ho veramente capito cosa erano stati i campi di concentramento.
8. Quale libro consiglieresti a un giovane lettore?
Quando mi fanno questa domanda rispondo sempre “L’ultimo dei giusti” di André Schwarz Bart, una grande carrellata nei secoli che fa capire l’incredibile storia ebraica europea attraversando i deboli lumi della ragione e le grandi ombre della storia del nostro continente.
9. Leggere fa bene? E perché?
Mi sono laureato a Bologna con una tesi in semiologia delle arti, nel periodo in cui Umberto Eco insegnava e andavo a tutte le sue lezioni come se fossero conferenze. Per Eco leggere è fondamentale non solo perché attraverso i romanzi vivi tante vite, ma perché è solo il confronto fra i modi di pensare che ti permettono di avere gli strumenti per capire se chi è di fronte a te o chi scrive, senta come vero quello che dice o è la demagogia, l’opportunismo o l’ipocrisia a dettare dietro le quinte. Poi leggere rende felici, infelici, angosciati e allegri, un bel libro è un’ arpa o un violino e ogni corda libera un sentimento.
10. A quale altra domanda avresti voluto rispondere?
“Il lavoro” dell’artista non è rispondere alle domande ma provocarle anche quando tutto sembra chiaro nasce un dubbio …
Omar Viel ha studiato Conservazione dei Beni Culturali e si occupa di comunicazione in diversi ambiti, tra cui quello artistico. Ha pubblicato il romanzo “Fulgore della notte” (Adiaphora) e racconti su Nuova Prosa e nell’antologia Venise, collection Bouquins, dell’editore francese Robert Laffont. È stato finalista della VI edizione del Premio Italo Calvino.
1. Perché hai scelto il lavoro/mestiere che fai?
Da sempre i romanzieri sono i miei eroi e i romanzi le loro gesta. Credo perciò di averlo scelto per emulazione, donchisciottescamente.
2. Qual è l’aggettivo che meglio definisce la tua attività?
Irrazionale.
3. Qual è il tuo primo ricordo di una biblioteca?
Quella pubblica ospitata in un edificio che nel contesto in cui sono cresciuto trovavo solenne. Ho sempre riconosciuto un legame di sangue tra quel posto e l’anziano maestro di scuola che se ne prendeva cura, un uomo di larghe vedute che, all’occorrenza, mi permetteva di frequentare l’enfer delle sue collezioni.
4. Come definiresti la biblioteca?
L’immaginazione umana su carta, in ogni sua sfumatura, dal sublime al grottesco.
5. Cosa ti piace di più in una biblioteca?
Lo spirito democratico della catalogazione. Rispetto a casa mia, in biblioteca capolavori e libri mediocri ricevono lo stesso trattamento.
6. Quale è stato il primo libro che hai letto?
Se escludo l’infanzia, “I quarantanove racconti” di Ernest Hemingway in adolescenza. Ma ricordo anche, come fosse una prima volta, un brano antologico tratto dall’Ulisse di James Joyce, letto a scuola, e il monito dell’insegnante: “Che nessuno di voi si azzardi a scrivere in quel modo!”
7. Quale libro ti ha lasciato un ricordo speciale?
“Un terribile amore per la guerra” di James Hillmann. Dopo averci restituito l’anima, Hillman ci ha lasciato in dono la possibilità impagabile che “la compresenza di visibile e invisibile è ciò che alimenta la vita”.
8. Quale libro consiglieresti a un giovane lettore?
Il primo su cui posa lo sguardo nello scaffale dei grandi autori russi.
9. Leggere fa bene? E perché?
La lettura di un saggio ci renderà persone più consapevoli? Un romanzo farà di noi donne e uomini migliori? La poesia ci restituirà l’innocenza perduta? Forse sì, in qualche misura. Tuttavia non credo che l’autentica seduzione della lettura consista nel fare bene. Nei libri, come in natura, il piacere non è etico, ma estetico.
10. A quale altra domanda avresti voluto rispondere?
“Non c’è grandezza in natura o nei libri che ci diletti”. È un verso di Wordsworth scritto nel settembre 1802. Cos’è cambiato in 200 anni?” Niente. Nemmeno una virgola.
Alberto Toso Fei, veneziano dal 1351, discende da una antica famiglia di vetrai di Murano. Esperto di storia segreta e di mistero, è giornalista, scrittore e saggista tradotto in più lingue. I suoi libri sulla storia segreta e leggendaria delle città più belle d’Italia, nati dal recupero della tradizione orale, sono diventate cacce al tesoro, performance teatrali, opere d’arte, installazioni e anche oggetti multimediali. Da essi è poi nato il fenomeno dei “ghost tour” a Venezia.
Lo chiamano il ‘Cantastorie tecnologico’ per l’uso che fa della multimedialità applicata alla dimensione del racconto. Alcuni libri sono dotati di codici QR utilizzando i quali l’autore “esce” dalle pagine per raccontare direttamente le storie nei luoghi in cui presero vita. Ha realizzato due libri-gioco su Roma e Venezia, dando vita alla saga del “Ruyi”: grazie a un sofisticato sistema tecnologico, con l’uso del telefono cellulare, si diviene protagonisti di una straordinaria caccia al tesoro culturale.
Assieme alle tradizionali presentazioni in libreria, Toso Fei ha acquisito negli anni le qualità del narratore capace di far “entrare” l’ascoltatore dentro le storie, incantandolo con il solo racconto o avvalendosi di filmati, tecnologia avanzata, musica, forme di spettacolo alternative. Ha una pagina Facebook e un canale YouTube che portano lo stesso nome: “Venezia in un Minuto”. Nel 2017 è stato candidato al Premio Strega con la graphic novel “Orientalia”, realizzata col disegnatore Marco Tagliapietra.
Alberto Toso Fei è il creatore e il direttore artistico del Festival “Veneto: Spettacoli di Mistero”, che tradizionalmente prende il via a novembre in cento località della regione.
Alberto Toso Fei sarà ospite della Biblioteca di Spinea (VE) nell’ambito delle iniziative previste per Il Veneto Legge, venerdì 27 settembre 2019 alle ore 18,00 con “Serenissima Scienza” aneddoti e racconti di scienziati e inventori a Venezia (e a Spinea!).
1. Perché hai scelto il lavoro/mestiere che fai?
Per passione, indubbiamente. questo almeno per quel che riguarda la scrittura giornalistica, il mio primo approccio con la costruzione di “racconti” e con la divulgazione. Per il resto, è forse il mestiere di scrittore che ha scelto me, a partire dalle storie – “vere”, intese nella filologia e nella trasmissione orale – che portavo dentro e che ho deciso di far uscire dalla sfera della mia memoria, e di raccontare.
2. Qual è l’aggettivo che meglio definisce la tua attività?
Cantastorie.
3. Qual è il tuo primo ricordo di una biblioteca?
Gli scaffali di alluminio della Biblioteca di Quartiere di Murano, dove da ragazzino andavo a divorare i gialli per ragazzi, fermandomi e leggendone anche uno a pomeriggio (non erano molto lunghi!). Un luogo semplice, all’apparenza (che oggi non esiste più in quella forma), ma che aveva ai miei occhi giovani tutta la sontuosità di un palazzo nobiliare.
4. Come definiresti la biblioteca?
Un tempio laico in cui non esiste dottrina o sacerdote. Tu decidi liberamente del tuo sapere, con la libertà di millenni di pensiero e di storie tra le quali scegliere.
5. Cosa ti piace di più in una biblioteca?
L’odore dei libri, il silenzio imperfetto.
6. Quale è stato il primo libro che hai letto?
Di cui abbia memoria, “Il gabbiano Jonathan Livingston”, di Richard Bach. Avevo dieci o undici anni. Prima di allora ho solo impressioni e immagini confuse.
7. Quale libro ti ha lasciato un ricordo speciale?
Sono due, letti in momenti particolari della vita, che magari ripresi oggi non avrebbero lo stesso sapore: “Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta” di Robert Pirsig e “L’insostenibile leggerezza dell’essere” di Milan Kundera.
8. Quale libro consiglieresti a un giovane lettore?
Se in vena di romanticismo “La nube purpurea” di Matthew Phipps Shiel; per gli amanti del surreale “Il terzo poliziotto” di Flann O’Brien.
9. Leggere fa bene? E perché?
Perché rimanere ignoranti e con una visione ristretta del mondo e della vita fa male. A se stessi e agli altri. Passi per il se stessi: ognuno è libero di devastarsi come vuole. Ma viviamo nel secolo dell’ignoranza crassa, in cui ogni cosa è a portata di mano e – forse proprio per questo – ci si accontenta della minestra ripassata del demagogo di turno. Che scomparirebbe incenerito come un vampiro all’alba al primo aprirsi di libro. Leggete, e fate leggere.
10. A quale altra domanda avresti voluto rispondere?
Tutti i libri hanno lo stesso valore? L’uno vale l’altro? No. Ma è importante sbagliare, e capire di aver sbagliato e quanto, dopo averne letti molti altri.
SPECIALE MESTHRILLER
Federico Lunardi, nato a Forlì nel 1984 ma cresciuto all’ombra dei Colli Euganei, è laureato in Ingegneria, appassionato di musica, sport, natura, scienze e di qualsiasi altra cosa lo incuriosisca. Ha curato un blog basato su tematiche ambientali, energetiche e antropologiche. Ama la letteratura e il cinema.
Nel 2017 ha pubblicato il suo romanzo d’esordio “Riesenwurm” che sarà presentato in Biblioteca a Spinea (VE) martedì 20 novembre 2018 a partire delle ore 18,00 nell’ambito del Festival dei libri gialli Mesthriller, in apertura dell’incontro con la scrittrice Cristina Cassar Scalia che presenterà “Sabbia nera”.
1. Perché hai scelto il lavoro/mestiere che fai?
La scrittura è una passione. Scrivo perché appena inizio a scrivere mi immedesimo a tal punto nei miei personaggi che mi perdo nel loro mondo, e spesso non mi fermo finché il mio corpo materiale lancia ultimatum di sopravvivenza.
2. Qual è l’aggettivo che meglio definisce la tua attività?
Un aggettivo che può riassumere ciò che scrivo può essere insolito. Nel bene o nel male. I miei contenuti sono atipici perché lo sono le mie fonti d’ispirazione. L’originalità è una delle caratteristiche prioritarie delle mie letture.
3. Qual è il tuo primo ricordo di una biblioteca?
Ciò che mi ha colpito di più sono stati i vecchi tomi e gli archivi dei quotidiani: montagne di carta ingiallita, milioni e milioni di parole, cronache e titoli in grassetto di altre epoche. Testimonianze sopravvissute ai testimoni. Ho provato una specie di fascino vertiginoso, ma ero un bambino e non ho capito perché.
4. Come definiresti la biblioteca?
Un tempio. Un luogo sacro in cui tutti possono entrare e confidarsi con un libro. Un luogo di pace e ponderatezza, al riparo da rumore e frenesia.
5. Cosa ti piace di più in una biblioteca?
Ciò che rappresenta, ovvero che la cultura deve essere a disposizione di tutti.
6. Quale è stato il primo libro che hai letto?
Credo “Il Libro della Giungla” di Joseph Rudyard Kipling.
7. Quale libro ti ha lasciato un ricordo speciale?
Tra i tanti, “L’idiota” di Fëdor Dostoevskij. Un libro che mi ha scosso profondamente e mi ha fatto definitivamente innamorare della lettura.
8. Quale libro consiglieresti a un giovane lettore?
“Siddharta” di Hermann Hesse. Un libro che mostra qualcosa di diametralmente diverso da quello che vive e pensa un giovane d’oggi. Un’occasione di imparare qualcosa di nuovo sulla propria interiorità, invece di limitarsi a ricevere passivamente input chiassosi. Così, tanto per cambiare.
9. Leggere fa bene? E perché?
Fa bene al cervello, perché lo stimola. Fa bene alla vita, perché mostra alternative. Fa bene alla società, perché favorisce l’empatia. Nel mio caso è anche un’opportunità di evasione, la mia ora d’aria dal “logorio della vita moderna” [cit.].
10. A quale altra domanda avresti voluto rispondere?
Cosa faresti per stimolare la lettura nei ragazzi?
Eviterei di propinargli immani rotture di balle e proporrei letture più moderne. I classici rischiano di stroncare sul nascere la passione per la lettura. Io li adoro, ma non sono per tutti. Si rischia di limitare i lettori ai pochi stoici che sono riusciti a deglutire quei bocconi amari. E intanto si rimpolpano le fila di un esercito di analfabeti funzionali. Lasciamo i Promessi Sposi e i Malavoglia agli amanti del genere. Proponiamo letture avvincenti e moderne, altrimenti si finisce per associare la lettura a un fastidio forzato dal quale non si vede l’ora di essere esonerati.
SPECIALE MESTHRILLER 2018
Laureato in legge, è nato a Treviso nel 1975 e risiede tuttora nel trevigiano. Scrittore dedito alla sperimentazione di diverse tipologie letterarie, si è poi specializzato nella stesura di gialli e noir. I primi approcci di genere risalgono al 2008 in cui ha vinto il premio Gran Giallo Città di Cattolica col racconto “Fino all’ultimo respiro” (ed. I Gialli Mondadori). Nel 2009 ha vinto il concorso per scrittura drammaturgica ReciproCittà, oggetto di una rappresentazione teatrale. Nel 2010 è stato finalista del premio Trichiana-paese del Libro, edito nell’antologia L’Appuntamento (ed. Kellerman). Nel 2012 ha vinto il premio Gran Giallo di Romagna con un racconto dedicato a Diabolik nel cinquantenario del fumetto. Nel 2013 un suo inedito è stato inserito nella raccolta Montevarchi in Giallo e ha pubblicato il suo romanzo d’esordio “Gocce di silenzio” (ed. Tindari-Patti). Nel 2014 ha pubblicato il primo romanzo noir “Polvere & Ombra” (Panda edizioni), finalista al concorso La Provincia in giallo. Nel 2016 ha pubblicato il noir “Rapsodia in rosso” (Panda edizioni), premiato al concorso San Giuliano in Giallo e ha vinto il concorso Rosso d’Inverno. Inoltre ha vinto il concorso Il Castagno con un racconto sulla Grande Guerra.
Nel 2017 ha pubblicato il thriller storico “Le canaglie del Venerabile” (Panda edizioni) che sarà presentato in Biblioteca a Spinea (VE) martedì 13 novembre 2018 a partire delle ore 18,00 nell’ambito del Festival dei libri gialli Mesthriller.
1. Perché hai scelto il lavoro/mestiere che fai?
Con la scrittura ho trovato il modo più felice per permettere alla mia immaginazione di non rimanere ingabbiata.
2. Qual è l’aggettivo che meglio definisce la tua attività?
Più che un aggettivo, un’espressione: piacevole fatica.
3. Qual è il tuo primo ricordo di una biblioteca?
Primo anno di università, biblioteca storica di Treviso. Ricordo il clima di silente austerità che dominava l’ambiente e di aver ricevuto un gettone numerato che indicava il posto a sedere. Una seduta di legno, dura e disagevole, ma al tempo stesso stimolante. Una sorta di metafora della vita.
4. Come definiresti la biblioteca?
Un luogo alieno alla banalità in cui soddisfare la voglia di sapere.
5. Cosa ti piace di più in una biblioteca?
La biblioteca è una sorta di “polis armonica”: ci convivono adulti e bambini, uomini e donne, studiosi e semplici lettori. Tutti sono alla ricerca di un qualcosa che appaghi la propria curiosità e nessuno resta deluso.
6. Quale è stato il primo libro che hai letto?
Il primo libro? Accidenti è passato tanto di quel tempo, chi se lo ricorda! Forse “La capanna dello zio Tom” di Harriet Elizabeth Beecher Stowe o “La secchia rapita” di Alessandro Tassoni durante una convalescenza: erano due libri presenti in casa.
7. Quale libro ti ha lasciato un ricordo speciale?
Può sembrare retorico, ma ogni libro lascia qualcosa: un sorriso, una lacrima, un brivido, una sensazione di pienezza, il desiderio di conoscenza, la leggerezza prodotta dalla possibilità di estraniarsi dall’ordinario. Sarebbe ingrato e ingiusto nominarne uno solo, umanamente impossibile ricordarli tutti.
8. Quale libro consiglieresti a un giovane lettore?
Il Nuovo Testamento.
9. Leggere fa bene? E perché?
Leggere è conoscenza e la conoscenza rende liberi, oltre a permettere un sano confronto. E qualche volta fa pure bene al cuore: più di così!
10. A quale altra domanda avresti voluto rispondere?
Hai un sogno da realizzare? La risposta, ovviamente, resta avvolta dal mistero…
SPECIALE MESTHRILLER 2018
Scrittore fiorentino, Francesco Recami con Bianca Sferrazzo, nel 1998 scrive per Giunti “Celti e Vichinghi”. Nel 2000 pubblica due titoli con Mondadori Education: “Assassinio nel Paleolitico” e “Trappola nella neve”.
Ma la sua popolarità arriva con l’editore Sellerio, e particolarmente con il ciclo di romanzi dedicati al pensionato Amedeo Consonni: “L’errore di Platini” (2006), “Il correttore di bozze” (2007), “Il superstizioso” (2008, finalista al Premio Campiello 2009), “Il ragazzo che leggeva Maigret” (2009, con il quale vince il Premio Scrittore Toscano), “Prenditi cura di me” (2010), “La casa di ringhiera” (2011), “Gli scheletri nell’armadio” (2012), “Il segreto di Angela” (2013), “Il caso Kakoiannis-Sforza” (2014). Il suo racconto “Il mostro del Casoretto” appare nell’antologia Sellerio “La scuola in giallo”, del 2014. Del 2015 è invece il romanzo “Piccola enciclopedia delle ossessioni”, sempre per la casa editrice palermitana.
Del 2018 è l’ultimo romanzo “Il diario segreto del cuore” che sarà presentato martedì 6 novembre a partire dalle ore 18,00 in Biblioteca a Spinea (VE), nell’ambito del Festival dei libri gialli, noir e thriller MESTHRILLER.
1. Perché hai scelto il lavoro/mestiere che fai?
Dunque, di mestiere io faccio l’editor, soprattutto in settori scientifici, biologia molecolare, genetica e biochimica. Non l’ho mica scelto, mi ci sono trovato, essendo io laureato in filosofia antica. L’altro mestiere, ma alcuni inorridiscono a chiamarlo mestiere, è scrivere narrativa. Io non inorridisco e anche questo non l’ho scelto, mi ci sono trovato scrivendo.
2. Qual è l’aggettivo che meglio definisce la tua attività?
Se si intende quella di scrittura direi ansiolitico.
3. Qual è il tuo primo ricordo di una biblioteca?
Quando ero ragazzo frequentavo la Biblioteca di Bagno a Ripoli, località in provincia di Firenze, dove per combinazione sono nati i miei figli. Eppure io abitavo da un’altra parte. Vorrà dire qualche cosa? Non credo.
4. Come definiresti la biblioteca?
Un luogo di aggregazione. Non sempre lo è ma spesso lo è.
5. Cosa ti piace di più in una biblioteca?
Prendo i libri a prestito, li leggo, quelli che mi piacciono me li compro.
6. Quale è stato il primo libro che hai letto?
Non me lo ricordo. Uno dei primi “La teleferica misteriosa” di Aldo Franco Pessina.
7. Quale libro ti ha lasciato un ricordo speciale?
Bah, diversi, per esempio “Le gomme” Alain di Robbe-Grillet. Ma quelli che mi lasciano un ricordo più duraturo di solito sono quelli che scrivo io.
8. Quale libro consiglieresti a un giovane lettore?
Uno di saggistica. Per esempio Walter Benjamin, “L’opera d’arte nell’epoca della riproducibilità tecnica”.
9. Leggere fa bene? E perché?
Leggere narrativa toglie l’ansia, almeno in parte. Leggere testi informativi, argomentativi, scientifici fa crescere il cervello. Leggere schifezze non fa bene.
10. A quale altra domanda avresti voluto rispondere?
Quelle tipiche domande che suonano “È vero che a un certo punto nella scrittura è il personaggio stesso che detta la storia?”. La risposta sarebbe: “E chi l’ha detta questa scemenza?”.
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