Sguardi insoliti. Persone e luoghi di Venezia, Maggio dei Libri 2023
Matteo Corradini sarà ospite in Biblioteca giovedì 19 maggio alle ore 18.00. Dialogherà attorno al suo libro “Per chi splende questo lume: la mia vita oltre Auschwitz” con Donatella e Raffaella Cipolato, figlie di Virginia, la protagonista del libro.
Nato nel 1975, Matteo Corradini è ebraista e scrittore. Pubblica con Bompiani e Rizzoli. Dottore in Lingue e Letterature Orientali con specializzazione in lingua ebraica, si occupa di didattica della Memoria e di progetti di espressione. Prepara reading musicali e regie teatrali. Premio Andersen 2018, Premio Leipzig 2018, Premio Primo Romanzo 2014. Dal 2010 è tra i curatori del festival scrittorincittà (Cuneo). Dal 2003 fa ricerca sul ghetto di Terezín, in Repubblica Ceca, recuperando storie, oggetti, strumenti musicali. Ha fondato il Pavel Žalud Quartet e il Pavel Žalud Trio in Italia ed è tra i fondatori dell’Institut terezínských skladatelů (Terezín Composers Institute) in Repubblica Ceca. Tra i suoi ultimi libri, i romanzi Irma Kohn è stata qui (Rizzoli), Se la notte ha cuore (Bompiani), il saggio-manuale Tu sei Memoria (Erickson), la cura del Diario di Anne Frank (BUR Rizzoli), la cura delle memorie di Virginia Gattegno (Per chi splende questo lume, Rizzoli), l’opera illustrata Fu Stella (Lapis). I suoi libri sono tradotti da RandomHouse in Germania e da Gallimard in Francia.
1. Perché hai scelto il lavoro/mestiere che fai? Volevo fare la rockstar. Ma non ho mai imparato a suonare la chitarra, e in più non ho tanti capelli. Mi mancavano le basi.
2. Qual è l’aggettivo che meglio definisce la tua attività? Civilmente stralunata.
3. Qual è il tuo primo ricordo di una biblioteca? Un posto caotico, pieno di libri apparentemente in disordine. Scoprii anni dopo che il disordine non era solo apparente.
4.Come definiresti la biblioteca? È un posto dove non c’è riposo per i libri, per i cuori e per le menti.
5.Cosa ti piace di più in una biblioteca? Trovare libri che non cerco. E l’odore di biblioteca, che è un misto di carta, colla, umido (a volte), legno, e desiderio di conoscere. Una fragranza buonissima.
6.Quale è stato il primo libro che hai letto? Tra i tanti, ricordo “La coccinella sempre arrabbiata” di Eric Carle (Emme Edizioni).
7.Quale libro ti ha lasciato un ricordo speciale? L’isola del tesoro a 12 anni. Lo leggevo in contemporanea al mio migliore amico e ne parlavamo. Non l’ho più riletto, mi basta quella lettura.
8.Quale libro consiglieresti a un giovane lettore? Se ha 13 anni, consiglierei il Diario di Anne Frank.
9.Leggere fa bene? E perché? Credo che leggere, un po’, abbia fatto anche un po’ male a tutti noi che amiamo leggere. Come fanno male le cose che ti mettono di fronte alla verità, anche di te stesso.
10.A quale altra domanda avresti voluto rispondere? Non mi hai chiesto se ho mai attratto il cuore di una ragazza con un libro. Ti avrei risposto così: sempre.
Gemma Moldi sarà ospite in Biblioteca venerdì 27 gennaio alle ore 18.00. Presenterà il suo libro “Scrivimi sempre” dialogando con Stefania Bertelli, accompagnate dalle letture di Alessandra Prato e dalle note musicali di Alessandra Trentin.
Gemma Moldi è nata a Venezia, si è laureata in Filosofia presso l’Università Cà Foscari e si è poi dedicata all’insegnamento delle materie letterarie nella scuola media. Si è impegnata in progetti di animazione teatrale, in laboratori per alunni con difficoltà di apprendimento e in attività per prevenire il disagio tra Mestre, Spinea e San Donà di Piave. Ha pubblicato fiabe e racconti per ragazzi, ha collaborato con musicisti attorno ad alcune fiabe musicali di cui ha curato i testi e si è dedicata alla ricerca storica per molto tempo restituendoci il prezioso libro edito dalla casa editrice Giuntina, che viene presentato in Biblioteca.
1. Perché hai scelto il lavoro/mestiere che fai? Ho fatto l’insegnante per molti anni. Ho scelto questo lavoro perché ho sempre desiderato condividere le mie conoscenze. Studiare, scoprire i grandi della letteratura, superare le difficoltà della scrittura e del raccontarsi, inquadrare storicamente gli eventi, cercare in quei percorsi spiegazioni che aiutino ad orientarsi nella vita, sono attività che hanno avuto sempre una grande importanza per me, sono state fonte di soddisfazione e il desiderio di fare la mia parte per diffonderne la conoscenza mi ha condotta all’insegnamento. Lasciato l’insegnamento, la scrittura di racconti, la collaborazione con musiciste e la ricerca storica mi hanno permesso di rivolgermi ad un pubblico più ampio ma lo scopo in fondo è lo stesso: trovare qualcuno con cui condividere conoscenze e pensieri, cercare di dare un contributo affinché la cultura raggiunga sempre più persone.
2. Qual è l’aggettivo che meglio definisce la tua attività? Mi viene in mente un sostantivo: ricerca.
3. Qual è il tuo primo ricordo di una biblioteca? A dodici anni, la biblioteca civica di Mestre, di fronte all’attuale sede del Municipio. Una scala ripida di marmo bianco e una grande sala poco luminosa dove scaffali di libri mi guardavano con aria severa. Con due amiche dovevamo fare una ricerca per la professoressa di inglese. Combinammo ben poco perché alla fine ci prese la ridarella però ricordo che, quando a casa mi misi a sistemare gli appunti, decisi tra me che ci sarei tornata da sola: l’avere tra le mani un volume dell’enciclopedia rilegato in pelle, il silenzio, le poche persone assorte nella lettura mi fecero sembrare la biblioteca un posto prezioso e speciale.
4. Come definiresti la biblioteca? Come dicevo è un luogo prezioso e speciale, la definirei un tesoro.
5. Cosa ti piace di più in una biblioteca? L’atmosfera. Ci sono luoghi dove si percepisce che l’umanità è capace di buone azioni, che può amare il bello, coltivare la filosofia e il ragionamento critico, la scienza e l’arte: il silenzio carico di attesa prima di un concerto, il respiro di una sala di lettura, la meravigliosa concentrazione che per alcuni istanti prende una classe intenta a scrivere un tema d’italiano o a disegnare… E naturalmente mi piace sapere che esiste perché la considero un’estensione della mia biblioteca privata, un luogo a cui attingere in caso di necessità. Ora poi le biblioteche sono diventate punti di incontro, propongono iniziative originali aperte al territorio e alla cittadinanza e questo le rende ancora più preziose.
6. Quale è stato il primo libro che hai letto? Non ricordo con precisone. Mi vengono in mente La capanna dello zio Tom, una raccolta di fiabe di Andersen e le sintesi dei grandi romanzi offerte in allegato ai fascicoli dell’Enciclopedia della fanciulla. Un’era geologica fa… Quelli erano i libri “ufficiali”, poi per conto mio leggevo qualsiasi altra cosa trovavo in casa.
7. Quale libro ti ha lasciato un ricordo speciale? Pensando sempre alle mie prime letture, sicuramente David Copperfield è stato il libro che più ho amato. Non lessi una versione per bambini ma l’originale, un tomo di oltre 700 pagine che mi regalarono intorno ai dieci anni e che lessi con grande piacere nonostante alcuni punti mi risultassero oscuri. Da quel momento in poi Dickens è diventato uno dei miei compagni di avventura. Letto e riletto insieme a tanti altri che poi si sono aggiunti e che, a seconda del periodo, mi hanno regalato un ricordo speciale. Cito alla rinfusa: Dumas, Proust, Balzac, Philip Roth, Faulkner, Ortese, Ginzburg, Romano, La Capria, Meneghello, Pratolini, Calvino, Thomas Mann, Cohen, Primo Levi, Yourcenar, Pamuk… Mi rendo conto che l’elenco sarebbe troppo lungo e non finirei più. Sono davvero tanti e di ognuno di loro mi piacerebbe raccontare qualcosa.
8. Quale libro consiglieresti a un giovane lettore? Non credo molto alla figura del “giovane lettore”. La lettura è un’esperienza individuale e quindi si può generalizzare fino ad un certo punto. E, inoltre, non sono così esperta sull’argomento. Credo perciò che ad un giovane lettore consiglierei di andare in una biblioteca dove esiste una collaborazione con le scuole oppure in una libreria dove c’è un libraio o una libraia che si informa e legge quello che mette in vetrina. Sono persone esperte che sanno dare consigli anche sulle novità e sanno porre domande sulle preferenze di ognuno. In generale, comunque, consiglierei di non aver paura dei classici perché sono spesso molto più vicini di quanto possiamo immaginare. Mi pare che implicitamente le domande di questo questionario si riferiscano ai libri di narrativa ma è lettura anche la saggistica e se un ragazzo o una ragazza sono appassionati di astronomia o biologia marina un libro può essere anche un saggio di divulgazione scientifica. E anche qui una brava bibliotecaria o una libreria possono dare utili suggerimenti.
9. Leggere fa bene? E perché? Leggere fa bene perché ci racconta una parte di quello che siamo come individui o come collettività, ci pone quesiti, ci può aiutare a mettere gli eventi in prospettiva, ci può dar fastidio o farci ragionare, può portarci lontano o nel proprio intimo sentire, può farci sognare o riflettere o tutte e due le cose insieme, può accrescere le nostre conoscenze ed alimentare la nostra capacità di giudizio critico, può aiutarci a comprendere gli altri, i loro comportamenti e le relazioni umane. In certi libri di narrativa ho sentito una tale assonanza con l’autore da sentirmi autrice con lui. E un po’ questo è vero perché l’umanità è il tratto che ci accomuna e ci rende capaci di comprensione reciproca.
10.A quale altra domanda avresti voluto rispondere? È stato interessante rispondere a questo questionario? Sì, perché mi ha dato modo di riflettere su temi a me cari e ringrazio la biblioteca per l’opportunità.
Nato a Padova nel 1959, lavoro a Venezia e a Mirano. Ho frequentato la Scuola Internazionale di Grafica di Venezia ed Urbino e mi sono laureato in Semiologia delle Arti all’Università di Bologna, dove sono stato allievo di Umberto Eco, Renato Barilli, Omar Calabrese e Flavio Caroli. Ho iniziato a dipingere nel 1971 ed esporre dal 1977 in mostre personali e collettive in Italia, Belgio, Croazia, Francia, Germania, Spagna, Brasile, Argentina, Cina, Israele, Giappone, Stati Uniti.
Dal 1988 mi occupo di iconografia ebraica. Dal 1993 sono parte del gruppo Triplani che partendo dalla semiologia biplanare, prende il nome dall’ipotesi di un terzo livello percettivo derivato dall’aura simbolica, accanto a quelli del significato e del significante. Nel 1998 sono tra i soci fondatori di Concerto d’Arte Contemporanea, associazione culturale che si propone di riunire artisti con le stesse affinità per riqualificare l’uomo ponendolo in sintonia con l’ambiente e rendere l’arte contemporanea conscia dei suoi rapporti con la storia e la storia dell’arte, anche interagendo con esposizioni nei parchi, ville, edifici storici e piazze di città d’arte. Dal 1999 ho avviato un ciclo di conferenze, sulla sua attività nel contesto della cultura ebraica, della logica matematica e dell’arte contemporanea. Dal 2004 con Maria Luisa Trevisan abbiamo dato vita a PaRDeS Laboratorio di Ricerca d’Arte Contemporanea a Mirano (VE) dove artisti di generazioni e culture diverse si confrontano su temi naturalistici e scientifici. In occasione delle olimpiadi di Pechino 2008 ho esposto all’Olympic Fine Arts. Nel 2011 al Padiglione Italia alla 54ª Biennale di Venezia.
“Dalle leggi razziali alla Shoah – Geschmay e Ravà due famiglie nella bufera”
lunedì 27 gennaio 2020 alle ore 18,00 in Biblioteca a Spinea (VE), in occasione delle celebrazione per il Giorno della Memoria, Tobia Ravà racconterà le vicende della sua famiglia, tra Venezia e Spinea, negli anni bui della persecuzione razziale.
Per l’occasione saranno esposte alcune opere dell’artista.
1. Perché hai scelto il lavoro/mestiere che fai?
Essere artista forse non è proprio un mestiere, è una impellente vocazione che uno sente dentro di sé. Se pensi di essere veramente un artista lo sei sempre in ogni momento della tua giornata, anche quando dormi. E’ una necessità di creare qualche cosa di nuovo che metta in gioco le categorie precedenti, le forme e i contenuti consolidati. E’ esprimere un punto di vista personale che rimetta in discussione cose in origine magari in apparenza banali, liberando invece un’anima impensabile che disintegri le logiche istituzionali per proporre un nuovo punto di vista.
2. Qual è l’aggettivo che meglio definisce la tua attività?
Per sottolineare perentorietà o urgenza direi “assolutamente”, che non è un aggettivo ma un avverbio che definisce, nel mio caso, la necessità impellente di ricorrere all’arte per sottolineare un problema o per ridefinire un oggetto in modo da provocare degli interrogativi. “Assolutamente” è una curva di parabola verso l’assoluto lungo un asintoto che tende all’infinito.
3. Qual è il tuo primo ricordo di una biblioteca?
La Querini Stampalia per me è il prototipo delle biblioteche, era il posto dove si andava a studiare al tempo del liceo a Venezia, a ripensarci mi pare di sentire ancora quei bisbigli tra studenti, i parchetti croccanti e qualche tonfo di libro in bilico urtato per sbaglio. Ero un “agente disturbatore” consapevole comunque di essere in un luogo meraviglioso.
4. Come definiresti la biblioteca?
Come la banca è il deposito della sostanza, dei valori materiali, così la biblioteca è il deposito dei valori spirituali. La banca dovrebbe far fruttare i tuoi beni materiali, ma spesso succede che magari rimani con un pugno di mosche. La biblioteca non ti delude mai, comunque quando esci sei più ricco dentro e se sai cercare puoi crescere molto di più di quello che avresti pensato. La biblioteca non ti toglie mai.
5. Cosa ti piace di più in una biblioteca?
La biblioteca ti dona senza pretendere da te nulla in cambio. E’ fondamentale per ogni luogo, per ogni paese anche piccolo avere una biblioteca per poter far crescere cultura e conoscenza, fondamentali per eliminare i pregiudizi e i luoghi comuni. Per una società evoluta è necessaria una istruzione diffusa e capillare.
6. Quale è stato il primo libro che hai letto?
Non me lo ricordo, forse qualche cosa di Salgari ma poi i molti libri che erano in casa. Tanti stampati prima della guerra che erano in casa a Spinea dai nonni materni. Mi ricordo la storia di un asino volante sopra il lago d’Iseo ma non ricordo il titolo, forse “Marchino”. E poi i Dussi, letteratura fantastica un po’ celtica con disegni bellissimi dei primi anni sessanta. Chissà dove sono andati a finire…
7. Quale libro ti ha lasciato un ricordo speciale?
“La notte” di Elie Wiesel è stato forse il primo libro autobiografico sulla Shoah. Sicuramente la lettura di questo libro è stato il momento angosciate in cui ho veramente capito cosa erano stati i campi di concentramento.
8. Quale libro consiglieresti a un giovane lettore?
Quando mi fanno questa domanda rispondo sempre “L’ultimo dei giusti” di André Schwarz Bart, una grande carrellata nei secoli che fa capire l’incredibile storia ebraica europea attraversando i deboli lumi della ragione e le grandi ombre della storia del nostro continente.
9. Leggere fa bene? E perché?
Mi sono laureato a Bologna con una tesi in semiologia delle arti, nel periodo in cui Umberto Eco insegnava e andavo a tutte le sue lezioni come se fossero conferenze. Per Eco leggere è fondamentale non solo perché attraverso i romanzi vivi tante vite, ma perché è solo il confronto fra i modi di pensare che ti permettono di avere gli strumenti per capire se chi è di fronte a te o chi scrive, senta come vero quello che dice o è la demagogia, l’opportunismo o l’ipocrisia a dettare dietro le quinte. Poi leggere rende felici, infelici, angosciati e allegri, un bel libro è un’ arpa o un violino e ogni corda libera un sentimento.
10. A quale altra domanda avresti voluto rispondere?
“Il lavoro” dell’artista non è rispondere alle domande ma provocarle anche quando tutto sembra chiaro nasce un dubbio …
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