
Venezia in Giallo, Novembre 2022
Paolo Lanzotti sarà ospite della Biblioteca venerdì 18 novembre alle ore 18.00 e dialogherà con Cristina Giussani attorno al suo ultimo romanzo “Le ragioni dell’ombra : Venezia 1753. Un’indagine di Marco Leon, agente dell’Inquisizione di Stato“.
Nato a Venezia. Laureato in filosofia all’università di Padova.
Insegnante, prima di filosofia, poi d’italiano. Attualmente in pensione.
Lettore onnivoro, con predilezione per la storia e la divulgazione scientifica.
Ama la musica classica e il teatro di prosa.
Risiede ancora a Venezia, ma vive tra Venezia e Padova.
1. Perché hai scelto il lavoro/mestiere che fai?
A costo di cadere un po’ nella retorica credo sia il mestiere ad aver scelto me.
Quand’ero giovane le mie ambizioni erano altre. Sognavo di fare qualcosa in campo musicale.
Ma stiamo parlando dei fatidici anni ’70. A quel tempo il novanta per cento dei giovani aveva lo stesso sogno nel cassetto.
E poi io sono un modesto autodidatta. Non sono mai stato un musicista vero.
Quindi, a un certo punto, ho dovuto rendermi conto che quella strada era sbagliata e mi sono messo a cercarne un’altra.
È stato allora che ho sentito il richiamo. Avevo delle storie in testa.
Non potevo raccontarle in musica, ma perché non provare a farlo con carta e penna?
Tutto è cominciato così.
Col mestiere di scrittore che mi chiamava, spazientito con me per il tempo che avevo perso fino a quel momento inseguendo delle chimere.
2. Qual è l’aggettivo che meglio definisce la tua attività?
Certosina. O forse, ossessiva. Ahimè!
Io sono uno di quegli autori che Raymond Calvert – se non ricordo male – definiva “masochisti”.
Ho sempre bisogno di ricominciare da capo, riprendendo il romanzo dalla prima riga.
Sono capace di rileggere dieci volte una pagina solo per cambiare un aggettivo o una virgola.
Taglio, aggiungo, taglio di nuovo e aggiungo ancora. Alla fine, comunque, non sono mai soddisfatto.
Come dico spesso, quando ho terminato di scrivere un romanzo è come se ne avessi scritti dieci.
Calvert aveva ragione. È da masochisti. Ma io non riesco a lavorare diversamente.
3. Qual è il tuo primo ricordo di una biblioteca?
Il mio primo ricordo è di natura scolastica.
La mia insegnante mi aveva assegnato una ricerca e io ho messo piede nella biblioteca comunale senza sapere bene cosa aspettarmi né tanto meno come funzionasse.
Un classico, vero? L’esperienza è stata disastrosa.
Ero molto giovane e non avevo la più pallida idea di cosa significasse “fare ricerca”.
Nessuno me l’aveva mai insegnato.
Quindi mi sono limitato a scopiazzare qualche pagina qua e là, quasi senza capire cosa stessi facendo.
Per fortuna, poi sono cresciuto.
4. Come definiresti la biblioteca?
Uno scrigno aperto, pieno di tesori.
Troppo retorico e scontato? Be’, io la penso così.
5. Cosa ti piace di più in una biblioteca?
Rifacendomi alla risposta precedente, ciò che mi piace di più è il pensiero che una biblioteca dona i suoi gioielli a tutti, indistintamente.
Frequentare una biblioteca azzera ogni distinzione di età, di genere o di condizione sociale.
La biblioteca è generosa, aperta, democratica e tollerante.
Il che è molto più di quanto, in genere, possiamo aspettarci dalla società che ci circonda.
6. Quale è stato il primo libro che hai letto?
Data la mia età, rispondere a una domanda del genere significa fare uno sforzo di memoria davvero grande.
Se ci penso, il primo titolo che mi viene in mente è “Ventimila leghe sotto i mari”.
Ma forse è solo il libro che mi ha colpito di più da bambino.
Non posso essere sicuro che sia stato anche il primo.
Anzi, considerando il tipo di storia che racconta è molto probabile che non lo sia.
Ma, evidentemente, quelli che ho letto in precedenza non mi hanno colpito in modo altrettanto profondo.
Quindi diciamo che è stato il primo.
7. Quale libro ti ha lasciato un ricordo speciale?
Dipende da cosa s’intende e a quale epoca si fa riferimento.
Da bambino, oltre al già citato “Ventimila leghe sotto i mari”, sono rimasto colpitissimo da “L’isola del tesoro” e da “Il richiamo della foresta”.
Da adulto ho incontrato diversi romanzi che mi hanno lasciato sensazioni o ricordi particolari.
Tempo permettendo sono un lettore compulsivo e, se fosse per me, avrei sempre un libro in mano.
Se proprio devo citarne uno solo penso a “Il nome della rosa”. Ma, come dicevo, è solo uno.
8. Quale libro consiglieresti a un giovane lettore?
Uno? Come prima, temo sia impossibile rispondere a questa domanda per me.
Di libri da consigliare ne avrei moltissimi. Personalmente indicherei i grandi classici dell’avventure.
Melville, Stephenson, Conrad, London, Salgari, Verne.
Tuttavia mi rendo conto che sarebbe un consiglio a rischio. Io ho una certa età e questi nomi mi vengono spontanei.
Ma probabilmente le nuove generazioni li troverebbero datati, se non addirittura noiosi.
E poi, si sa, il libro consigliato da altri non è quasi mai quello che si preferisce.
Ciascuno di noi legge a modo suo e ciò che piace a qualcuno può non piacere ad altri.
Insomma, meglio che ciascuno scelga per conto proprio.
9. Leggere fa bene? E perché?
Leggere fa benissimo, allo spirito e alla mente. Perfino al corpo, in un certo senso.
In quanto al perché, temo che dovrò cadere nel già sentito.
Fa bene perché allarga gli orizzonti mentali, aiutandoci a combattere i pregiudizi.
Fa bene perché ci fa conoscere altri mondi e realtà che non avremmo mai la possibilità di frequentare di persona.
Fa bene perché stimola la fantasia.
Fa bene perché ci permette d’entrare in contatto con opinioni diverse dalle nostre, allenandoci alla tolleranza e al rispetto.
Fa bene semplicemente perché ci diverte e ci fa passare delle ore liete in compagnia di storie appassionanti e personaggi indimenticabili.
Sì, lo so: sono cose sentite mille volte. Ma una verità non ha bisogno d’essere originale, non è vero?
10. A quale altra domanda avresti voluto rispondere?
Penso che dieci siano sufficienti.
Magari a farmi altre domande ci penseranno i lettori. È sempre la cosa migliore.
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