Feeds:
Articoli
Commenti

Antonio G. Bortoluzzi sarà ospite della Biblioteca venerdì 3 maggio alle ore 18.00 all’interno della rassegna “Porte Aperte. Luoghi, culture e voci dal territorio“. L’autore presenterà il suo libro “Il saldatore del Vajont” e dialogherà con Annalisa Bruni.

Mi chiamo Antonio Giacomo Bortoluzzi e sono nato nel 1965 in un piccolo borgo in Valturcana, nella conca dell’Alpago, in provincia di Belluno.
Poche case, molte stalle e sei famiglie. Prati ripidi, boschi, bestie, vecchi, donne e ragazzini. Una strada bianca tutta in salita che portava ad altri abitati altrettanto piccoli e senza la tabella con il nome.
Nel borgo non c’era nulla: né un prato abbastanza in piano per fare una partita a calcio, né una bottega o una chiesetta. Tantomeno un telefono. C’erano un lampione, un portone di legno pieno di puntine dove mettevano gli annunci mortuari e un capitello di San Fermo con una spessa grata di metallo.
Ho cominciato a lavorare nei cantieri e in fabbrica molto presto, poi ho incontrato i libri, e il mondo è cambiato.

  1. Perché hai scelto il lavoro/mestiere che fai?
    Per me scrivere è una grande passione. Amavo e amo leggere, e ho sempre trovato meraviglioso come i grandi scrittori e le grandi scrittrici riuscissero a mettere sulla pagina (con quei segni fissi, quell’organizzazione apparentemente rigida) così tante scene, emozioni, sentimenti, idee. E ho capito che il mondo e la vita potevano essere narrati.
  2. Qual è l’aggettivo che meglio definisce la tua attività?
    Avventurosa.
  3. Qual è il tuo primo ricordo di una biblioteca?
    Era la piccola biblioteca della scuola media, c’erano gli armadi, le antine di vetro e dentro c’erano i libri accostati l’uno all’altro. L’idea che mi ero fatto è che fosse roba dei prof, e quindi fosse meglio non toccare. E mi sbagliavo.
  4. Come definiresti la biblioteca?
    Il luogo della scoperta.
  5. Cosa ti piace di più in una biblioteca?
    L’incontro con le persone. E quel magico evento che accade quando chiedi il titolo di un libro ed è subito individuato in mezzo a migliaia di altri.
  6. Quale è stato il primo libro che hai letto?
    Possiedo ancora l’unico libro che avevo in casa da bambino, s’intitola Bisonte nero, racconto indiano (L. Mellano, Ditta G. B. Paravia, Torino). È stato pubblicato nell’agosto del 1900 ed è ancora perfettamente leggibile dopo 124 anni, e lo sarà ancora per molto tempo. Il libro è anche un oggetto tecnico modernissimo, resistente, duraturo, e consultabile in ogni momento. Ed è sempre “acceso”, anche senza energia elettrica.
  7. Quale libro ti ha lasciato un ricordo speciale?
    Quando ho letto I quarantanove racconti di Ernest Hemingway, mi è sembrato di trovare il grande manuale sulla scrittura che cercavo da anni.
  8. Quale libro consiglieresti a un giovane lettore?
    L’isola misteriosa di Jules Verne mi era piaciuto moltissimo quand’ero ragazzino. Un’avventura che mi aveva totalmente assorbito, e poi c’era quell’idea che gli uomini, lavorando, studiando, sperimentando insieme potessero farcela contro le “avversità” della vita.
    Un’avventura ottocentesca, solida, che si può leggere anche nella forma di graphic novel.
  9. Leggere fa bene? E perché?
    Leggere un buon libro (quindi seguire una narrazione abbastanza lunga) è passare del tempo fuori di sé e allo stesso tempo dentro di sé. Significa imparare un sacco di cose, divertirsi e commuoversi, maturare dei sentimenti che ci accompagneranno per molto tempo, forse per tutta la vita.
    E poi leggere fa bene perché ci fa compagnia.
  10. A quale altra domanda avresti voluto rispondere?
    Le domande mi hanno fatto riflettere e mi è piaciuto rispondere, potrei aggiungere una considerazione, visto che abbiamo parlato molto di biblioteche: secondo me un ruolo importante della cultura (e dei luoghi della cultura) è l’incontro, la relazione, lo stare insieme. Il riconoscerci.



Andrea Artusi sarà ospite della Biblioteca sabato 20 aprile 2024 alle ore 16.30 dove presenterà con Mirco Zilio, il suo ultimo libro “Odino Buzzi: cronista detective, quattro storie”,  Round Robin edizioni.
In questa occasione verranno anche esposte le tavole realizzate dai partecipanti al corso di fumetto tenuto da Andrea Artusi in Biblioteca.

Ho iniziato giovanissimo a pubblicare i miei primi lavori come illustratore alla fine degli anni ’70 sulle pagine dell’editoria cattolica per ragazzi per case editrici come LDC Leumann e AVE.
All’inizio degli anni 80 sono entrato a far parte dello Studio Metropolis di Luigi F. Bona disegnando illustrazioni e fumetti per Mondadori, Rizzoli, Universo e altri editori.
Dal 93 sono collaboratore della Sergio Bonelli Editore per la quale ho scritto e disegnato storie di Legs Weaver, Nathan Never, Gregory Hunter, Dylan Dog, Dampyr e Martin Mystère.
Faccio parte dei Mysteriani, il gruppo di autori che ha dato vita alla miniserie “Le Nuove Avventure a Colori di Martin Mystère”.
Dal 2000 al 2005 ho diretto il dipartimento Comics & Illustration di Fabrica, il centro ricerche sulla comunicazione del Benetton Group che ha realizzato uno dei primissimi E-Comics italiani.
Sono docente del corso “Digital Illustration e Character Design” per l’Istituto Universitario Salesiano di Venezia e Verona.

1. Perché hai scelto il lavoro/mestiere che fai?
Credo in tutta franchezza che sia stato questo lavoro ad aver scelto me.
Ho iniziato a leggere e disegnare fumetti quando ero piccolissimo e questa passione mi ha guidato negli anni. Disegnare era inconsciamente l’unica cosa che sentivo di poter fare come mestiere, anche se ho scoperto negli anni che era assai complicato.
2. Qual è l’aggettivo che meglio definisce la tua attività?
Follemente razionale.
3. Qual è il tuo primo ricordo di una biblioteca?
Sono cresciuto negli anni ’60 in un piccolo paese di provincia del veneziano e mia madre, che era una lettrice accanita, portava me e mio fratello ogni fine settimana nella piccola biblioteca locale a scegliere qualcosa da leggere. Era una specie di rito che ricordo ancora con grandissimo piacere.
4. Come definiresti la biblioteca?
Il luogo in cui la cultura si può percepire, annusare, scoprire.
5. Cosa ti piace di più in una biblioteca?
L’atmosfera. Essere circondato dai libri credo renda le persone in qualche maniera migliori.
6. Quale è stato il primo libro che hai letto?
I miei genitori mi regalarono, ancora prima di iniziare ad andare a scuola quando avevo appena iniziato a leggere, un meraviglioso libro pop-up che ancora conservo di “Aladino e la lampada magica”.
Fu il primo che lessi autonomamente.
7. Quale libro ti ha lasciato un ricordo speciale?
Domanda difficilissima… tra i tanti scelgo “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore” di Raymond Carver.
8. Quale libro consiglieresti a un giovane lettore?
Blankets” di Craigh Thompson che è un graphic novel.
9. Leggere fa bene? E perché?
Perché ci apre ad altri mondi, ci fa viaggiare senza muoverci.
Leggere è il nostro “melange”, la spezia di Dune senza gli effetti collaterali.
10. A quale altra domanda avresti voluto rispondere?
I fumetti sono letteratura? Assolutamente sì, sono letteratura disegnata.

Giuseppe Mendicino sarà ospite della Biblioteca venerdì 19 aprile alle ore 18.00.
Dialogherà con Sara Zanferrari attorno al suo ultimo libro “Conrad. Una vita senza confini”. Ascolteremo la lettura di alcuni brani dalla voce di Paola Zecchino.

Nato ad Arezzo, Giuseppe Mendicino è l’autore di Conrad. Una vita senza confini, edito da Laterza.
Per lo stesso editore, nel 2021 Mendicino ha scritto Mario Rigoni Stern. Un ritratto. Al narratore dell’altipiano dei Sette Comuni ha dedicato anche Mario Rigoni Stern. Il coraggio di dire no (Einaudi 2013) e Mario Rigoni Stern. Vita, guerre, libri (Priuli & Verlucca 2016). Tra le altre pubblicazioni, Portfolio alpino e un saggio biografico su Nuto Revelli.
Nel corso degli anni ha scritto saggi brevi su Joseph Conrad, Primo Levi, Dino Buzzati, Leonardo Sciascia, Luigi Meneghello e altri.
Nel 2021 ha curato il convegno sul centenario di Mario Rigoni Stern e nel 2022 il libro che ne ha raccolto gli atti nelle edizioni Ronzani, Mario Rigoni Stern. Cento anni di etica civile, letteratura, storia e natura. Sempre nel 2021 ha curato la mostra Muse -Mart dedicata al mondo naturale di Rigoni Stern e il libro edito da Hoepli Dolomiti cuore d’Europa di Giovanni Cenacchi.
Nel 2023 ha curato la ristampa de Il campo rosso: cronaca di un’estate, 1946 di Giovanna Zangrandi, edito dal CAI e ha collaborato alla mostra su Primo Levi e le montagne attualmente in corso presso il Museo Nazionale della montagna di Torino. Collabora con l’Enciclopedia Treccani e i periodici Doppiozero, Meridiani Montagne e La Rivista del CAI.

1. Perché hai scelto il lavoro/mestiere che fai?
Di mestieri ne ho due, dirigente pubblico e scrittore. Qui parliamo del secondo naturalmente. Come tutti coloro che amano i libri sin da ragazzi, a un certo punto ho sentito il desiderio di raccontare, descrivere, approfondire. Il lavoro creativo, di qualunque tipo si tratti – artigianale, artistico, specialistico -, è quello che dà più soddisfazioni.
2. Qual è l’aggettivo che meglio definisce la tua attività?
Affascinante.
3. Qual è il tuo primo ricordo di una biblioteca?
Ne ho molti: l’antica biblioteca di Arezzo, la città dove sono nato e cresciuto; la biblioteca Marciana di Venezia, dove un appassionato bibliotecario mi aveva donato una dispensa di paleografia; la piccola biblioteca di Carbonera in provincia di Treviso, dove ho svolto il mio primo lavoro, da bibliotecario appunto; la biblioteca del paese dove vivo, Bellusco, che nel 2006 proposi e ottenni di intitolare a Mario Rigoni Stern, la prima in Italia; e infine la biblioteca di Cortina d’Ampezzo, dove sino allo scorso dicembre lavorava il grande bibliotecario Mauro Polato, che ho ricordato e ringraziato nell’ultima pagina del mio libro su Joseph Conrad.
4. Come definiresti la biblioteca?
Le biblioteche sono un indice analitico del mondo. Sono il simbolo del desiderio di conoscenza e di apertura mentale che è sempre stato proprio degli uomini e delle donne migliori.
5. Cosa ti piace di più in una biblioteca?
La possibilità di scoprire libri mai letti; di cercarli, trovarli e sfogliarli.
6. Quale è stato il primo libro che hai letto?
Il primo libro serio che ricordo di aver letto, con tanto piacere, è L’isola del tesoro di Robert Louis Stevenson.
7. Quale libro ti ha lasciato un ricordo speciale?
Ne dico quattro. La linea d’ombra di Joseph Conrad, Quota Albania di Mario Rigoni Stern, Addio alle armi di Ernest Hemingway e La morte di Ivan Il’ič di Lev Tolstoj.
8. Quale libro consiglieresti a un giovane lettore?
La linea d’ombra di Conrad e L’isola del tesoro di Stevenson.
9. Leggere fa bene? E perché?
Leggere e conoscere sono il presupposto fondamentale per poter ragionare con la propria testa ed essere liberi.
10. A quale altra domanda avresti voluto rispondere?
Quale scrittore avesti voluto conoscere di persona?
Uno era Mario Rigoni Stern, e ci sono riuscito.
Gli altri sono Joseph Conrad, Ernest Hemingway, Primo Levi e Italo Calvino.

Fabrizio De Blasi sarà ospite della Biblioteca sabato 23 marzo 2024 alle ore 16.30 all’interno del ciclo di incontri dedicati ai cambiamenti climatici, si parlerà dell’impatto dei mutamenti climatici sulle zone di montagne e sui ghiacciai.

Fabrizio De Blasi ha conseguito la Laurea magistrale in Scienze Forestali e Ambientali all’Università di Padova e il dottorato di ricerca in Territorio, Ambiente, Risorse e Salute, è ora ricercatore presso l’Istituto di Scienze Polari del CNR (ISP-CNR). Dal 2010 svolge attività di ricerca nel campo delle scienze forestali e ambientali con particolare attenzione all’influenza dei cambiamenti climatici sugli ambienti montani d’alta quota dominati da processi nivo-glaciali.

1. Perché hai scelto il lavoro/mestiere che fai?
La montagna è sempre stata la mia passione, fin da quando il nonno mi accompagnava nei boschi di castagno in Appennino.
Ho studiato Scienze Forestali all’Università di Padova perché volevo capire come funzionano e si evolvono i territori d’alta quota.
Con l’alpinismo e le mie attività di ricerca mi sono spinto più in alto delle foreste e ho scoperto questi affascinanti ambienti alpini che sono i ghiacciai. Mi piace vederli, o, oramai, ricordarli, come li descriveva William Windham “un mare che si è congelato all’improvviso poco dopo la tempesta, quando il vento è cessato e le onde, benché ancora alte, sono diventate tondeggianti e smussate”.
2. Qual è l’aggettivo che meglio definisce la tua attività?
“Eclettica”: il mio lavoro mi tiene molto tempo al computer per studio e ricerca. D’altra parte, sono impegnato in attività in campo che richiedono elevata elasticità mentale per gestire situazioni a volte impreviste e complesse.
3. Qual è il tuo primo ricordo di una biblioteca?
Ero alle scuole medie a Mestre, ricordo la biblioteca in legno scuro scuro delle suore Canossiane. Forse mi è rimasto impresso più il fascino del luogo che non la lettura stessa.
4. Come definiresti la biblioteca?
Per me è sempre stato un luogo di approfondimento o, meglio, una fonte da cui attingere e portarsi a casa molteplici informazioni, ora anche in forma digitale. Ho sempre preferito studiare in maniera isolata, sulla mia scrivania. Ecco perché non ho l’abitudine di vivere attivamente le stanze della biblioteca.
5. Cosa ti piace di più in una biblioteca?
L’idea stessa di cultura disponibile a tutti, nelle sue sfaccettature più colorate di temi e idee.
6. Quale è stato il primo libro che hai letto?
Credo sia stato “Il gabbiano Jonathan Livingston” di Richard Bach, me lo regolò mio papà.
Confesso di averlo trovato noioso all’epoca. Riletto alcuni anni dopo, è diventato uno dei libri a cui ripenso, a cicli.
7. Quale libro ti ha lasciato un ricordo speciale?
Dipende dalla tematica, che si tratti di saggi, romanzi, raccolte di storie.
Il primo che mi viene alla mente forse è Moby Dick di Herman Melville, la storia di un uomo che si intreccia con la scienza, la teologia, il pensiero e le paure.
8. Quale libro consiglieresti a un giovane lettore?
“Guida galattica per autostoppisti” di Douglas Adams.
Un libro ironico (evviva sempre l’ironia), con una profonda base di cultura scientifica e tecnologica. Una lettura molto piacevole a livelli ascendenti.
9. Leggere fa bene? E perché?
Lascio quello che scrisse Umberto Eco: “Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito… perché la lettura è un’immortalità all’indietro”.
10.  A quale altra domanda avresti voluto rispondere?
Non saprei, forse: “Leggi molto?” Avrei risposto: “Non quanto vorrei, sono terribilmente lento”.

Carlo Giupponi sarà ospite della Biblioteca sabato 16 marzo alle ore 16.30 con il suo libro “Venezia e i cambiamenti climatici: quale futuro per la città e la sua laguna?” all’interno del ciclo di incontri “L’acqua e i mutamenti climatici: cosa sta cambiando?“. L’autore dialogherà con Cristina Giussani della libreria Mare di Carta.

Carlo Giupponi è Professore Ordinario di Economia Ambientale e Applicata presso il Dipartimento di Economia dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. La sua attività di ricerca si concentra sulla scienza della sostenibilità e l’adattamento al cambiamento globale, con interessi specifici per i metodi di valutazione, l’analisi di scenario e la valutazione integrata – economica, ambientale e sociale – delle risorse naturali, dalla scala locale a quella globale. I suoi contributi metodologici più rilevanti sono nel campo dell’integrazione disciplinare, attraverso lo sviluppo di metodi, modelli dinamici e spaziali, e strumenti di supporto alle decisioni per aziende private ed enti pubblici. Ha diverse responsabilità in progetti ed istituzioni accademiche e di ricerca (es. FEEM), partecipazioni a comitati di riviste scientifiche (es. SESMO), associazioni e reti (es. MedECC, Future Earth). La sua produzione scientifica si trova in oltre 330 pubblicazioni ed è stata riconosciuta in vari contesti; es. la “Hot list” Reuters 2020 dei 1000 autori più influenti nel campo degli studi sul clima e North-South Prize 2020 del Consiglio d’Europa per il contributo alla redazione del rapporto “Climate and Environmental Change in the Mediterranean Basin”.

1. Perché hai scelto il lavoro/mestiere che fai?
Passione e curiosità per le problematiche ambientali. Mi interessa conoscere e studiare cose nuove e quando mi pare di averle capite, mi piace sperimentarle… e poi passare ad esplorare altre cose nuove.
2. Qual è l’aggettivo che meglio definisce la tua attività?
“Intensa”: assorbe molte energie e molto tempo, spesso troppo; non è facile difendere tutto il resto dall’invadenza del lavoro, ma anche “stimolante”, che è ciò che fa sì che si mantenga l’entusiasmo per quello che si fa.
3. Qual è il tuo primo ricordo di una biblioteca?
Ricordo la Querini Stampalia a Venezia, quando si studiava per la maturità e poi per gli esami universitari. Non so se fosse più un’opportunità per studiare o per socializzare.
4. Come definiresti la biblioteca?
La biblioteca per me è da tempo un luogo virtuale. Leggo e studio buona parte del giorno, cercando nelle banche dati delle riviste scientifiche dal mio computer. Questa biblioteca è il mio principale strumento per conoscere le cose importanti per il mio lavoro.
5. Cosa ti piace di più in una biblioteca?
Le biblioteche fisiche sono spesso luoghi bellissimi, specie se sono ambienti storici, ma nelle biblioteche si sono spesso realizzate le idee degli architetti moderni più bravi. Mi piace il silenzio.
6. Quale è stato il primo libro che hai letto?
Non ricordo quale sia stato il primo, ma ricordo bene che da piccolo mi era piaciuto molto “Il piccolo principe” di Saint-Exupéry, con i bei disegni dell’autore.
7. Quale libro ti ha lasciato un ricordo speciale?
Ogni libro che leggo mi lascia piccoli ricordi e impressioni che si accumulano e spesso, purtroppo, perdono i riferimenti alle fonti.
8. Quale libro consiglieresti a un giovane lettore?
I libri del collettivo bolognese Wu Ming (prima Luther Blisset), mi sono quasi sempre piaciuti molto. Conosciamo poco la storia e questo ha conseguenze negative sulle nostre idee e sui nostri comportamenti, per cui consiglierei di leggerli partendo da quello che affronta la storia che più interessa, non preoccupandosi per il numero di pagine, che non pesano assolutamente.
9. Leggere fa bene? E perché?
Siamo sempre più isolati, anche se connessi. Leggere libri permette di conoscere altre persone e le loro storie e rapportarsi con loro anche a distanza di secoli e in continenti diversi, con i tempi e l’approfondimento che servono per crescere interiormente.
10. A quale altra domanda avresti voluto rispondere?
Forse: Come possiamo far sì che i giovani leggano di più? Ma non avrei saputo rispondere.

Chiara Spadaro sarà ospite della Biblioteca sabato 24 febbraio alle 16.30 per il secondo incontro dedicato all’ambiente e ai cambiamenti climatici, con il suo libro “L’arcipelago delle api. Microcosmi lagunari nell’era della crisi climatica”.

Chiara Spadaro, foto di Elisa Cesca

Chiara Spadaro, geografa, è assegnista di ricerca presso l’Università di Udine, dove si occupa di educazione al gusto e al paesaggio.
Ha una formazione interdisciplinare: si è laureata in Antropologia culturale all’Università Ca’ Foscari di Venezia e si è formata come giornalista scrivendo per il mensile Altreconomia, per poi conseguire nel 2023 il dottorato in Studi geografici presso l’Università di Padova. Le sue ricerche oggi si muovono tra i paesaggi del cibo, le idrografie e le geografie animali, all’ascolto delle loro diverse tracce sonore.
Continua a lavorare anche come giornalista e nella comunicazione per il terzo settore e per gli enti locali. È autrice di diversi libri su tematiche ambientali; l’ultimo è L’arcipelago delle api. Microcosmi lagunari nell’era della crisi climatica (wetlands, 2022).

1. Perché hai scelto il lavoro/mestiere che fai?
Mi appassionano le tematiche ambientali; nei miei diversi lavori – il giornalismo, la ricerca, la didattica – cerco sempre una nuova prospettiva per approfondirle. Quindi, più che la scelta di un lavoro sono partita dalla scelta di un tema sul quale costruire le mie collaborazioni professionali.
2. Qual è l’aggettivo che meglio definisce la tua attività?
Relazionale.
3. Qual è il tuo primo ricordo di una biblioteca?
Quello ascoltato dai miei genitori: un medico e una biologa che da giovani frequentavano la biblioteca con un gruppo di altre persone all’epoca studenti. Quegli “amici della biblioteca” oggi sono pensionati, e continuano a trovarsi.
4. Come definiresti la biblioteca?
Una tana dentro la quale tutti i mondi sono possibili.
5. Cosa ti piace di più in una biblioteca?
Il fatto di non essere mai sola.
6. Quale è stato il primo libro che hai letto?
Non saprei, ma nei miei ricordi d’infanzia rivedo quei libri della De Agostini sul corpo umano. Dopotutto, era una casa di scienziati.
7. Quale libro ti ha lasciato un ricordo speciale?
Con un amico, Gennaro (che sarebbe molto più bravo di me a rispondere a queste domande), da adolescenti ci scambiavamo i libri di Ryszard Kapuściński: romanzi, e non solo. Grazie a Il cinico non è adatto a questo mestiere: conversazioni sul buon giornalismo (2000) ho iniziato a sognare di fare della scrittura un mestiere.
8. Quale libro consiglieresti a un giovane lettore?
Mi viene in mente un libro che mi è stato regalato molti anni fa: Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, di Luis Sepúlveda (1996).
9. Leggere fa bene? E perché?
Sì, è una pratica democratica e accessibile di scoperta del mondo.
10. A quale altra domanda avresti voluto rispondere?
Quale libro hai oggi sul comodino? Annie Ernaux, Perdersi (2023).

Angela Zampieri sarà ospite della Biblioteca sabato 17 febbraio alle ore 16.30 per il primo incontro del ciclio “L’acqua e i mutamenti climatici: cosa sta cambiando?”

Sono Angela Zampieri, classe ’94 e appassionata di mare da sempre.
Mi introduce con passione al mondo scientifico la mia maestra di Scienze delle scuole elementari e da lì questo mondo non l’ho più abbandonato. All’Università di Padova studio e poi mi laureo prima in Biologia nel 2016 e poi in Biologia marina nel 2018. Dato che del mondo scientifico non ne ho mai abbastanza, decido subito dopo la magistrale di fare un dottorato di ricerca in Scienze veterinarie sempre presso l’Università di Padova, che concludo nel 2022.
Gli ultimi due anni della mia carriera da dottoranda li vivo in parte all’Università tra laboratorio e articoli da pubblicare e in parte lavorando come Collaboratore Tecnico Professionale presso l’Agenzia regionale ARPA Veneto (ARPAV). Un periodo intenso, non lo nascondo, ma che mi ha permesso di arrivare dove sono ora. Oggi, infatti, lavoro ancora in ARPAV in veste di Collaboratore Tecnico Professionale, ma questa volta, da settembre 2023, nel mio contratto c’è scritto tempo indeterminato! E vi dirò di più, nel lavoro che svolgo non mi sento affatto un pesce fuor d’acqua! Anzi! Spesso sono infatti coinvolta in attività di monitoraggio in mare che mi permettono di toccare con mano molto di quello che ho studiato e di conoscere aspetti dell’ecosistema marino che solo l’esperienza in campo ti può dare!
Certo la mia carriera è pressoché appena iniziata ma sono esattamente dove volevo essere e cioè a stretto contatto con la mia più grande passione: IL MARE.

1. Perché hai scelto il lavoro/mestiere che fai?
Per passione, interesse e curiosità verso il mondo marino. Il tutto è iniziato fin da bambina.
2. Qual è l’aggettivo che meglio definisce la tua attività?
Imprevedibile.
3. Qual è il tuo primo ricordo di una biblioteca?
Avrò avuto all’incirca sei o sette anni e a quel tempo mia madre, grande lettrice anche lei, portava me e mia sorella una volta a settimana in una biblioteca comunale poco distante da casa nostra. Di quella biblioteca ricordo che mi piaceva soprattutto la calma e il silenzio che c’era in ogni suo ambiente. Era come se entrando, il caos della città rimanesse fuori dalla porta, e lì dentro esistessero solo libri, personaggi, avventure e fantasia.
4. Come definiresti la biblioteca?
Un luogo prezioso da custodire sì, ma non gelosamente! Anzi, invitando sempre più persone a frequentarlo con calma e rispetto.
5. Cosa ti piace di più in una biblioteca?
La calma. Entrare in una biblioteca mi aiuta a rallentare, a prendermi del tempo per me e a ricentrarmi a volte quando trovo il libro giusto.
6. Quale è stato il primo libro che hai letto?
Forse non sarà stato il primo che ho letto, ma che mi ha colpito sì: “Ascolta il mio cuore” di Bianca Pitzorno.
7. Quale libro ti ha lasciato un ricordo speciale?
Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne. Me lo regalò mia nonna materna, fiera lettrice di ogni genere di libri, per Natale. Avrò avuto all’incirca dieci anni.
Ricordo che mi disse di leggerlo nonostante fosse un po’ complicato per i termini usati e lo stile con cui era scritto. Iniziando a leggerlo mi resi conto che non conoscevo molte parole, mi disse allora di segnarmele quelle parole, per cercarne poi il significato. A distanza di anni mi è ricapitato tra le mani quel libro e sfogliandolo, nelle ultime pagine bianche in fondo al romanzo, ho ritrovato quelle parole scritte in matita dalla me bambina. Ho sorriso nel leggerle, perché sono tutti termini che fanno parte del linguaggio marinaresco, un linguaggio che con il lavoro che svolto ho imparato e sto imparando tutt’ora!
Si può quindi dire che ci avesse visto lungo la mia cara nonna, che oltre alla passione per la lettura mi ha trasmesso anche la curiosità verso il mondo e l’amore per il mare!
8. Quale libro consiglieresti a un giovane lettore?
Uno qualsiasi di quelli scritti da Bianca Pitzorno. È un’autrice che mi è piaciuta fin dal primo libro che ho letto e che è in grado di parlare in modo semplice di tematiche a volte complesse alle persone di tutte le età. Conoscerla quando si è ancora giovani lettori è un’esperienza che consiglio.
9. Leggere fa bene? E perché?
Potrebbe sembrare una risposta banale, ma leggere per me fa bene perché mi fa stare bene!
Sarà l’effetto del viaggiare con la fantasia che è l’unica forma di viaggio a costo e impatto zero?!?! Forse! Certo è che, se a volte mi capita durante la settimana (weekend compresi) di non riuscire a leggere nemmeno la pagina di un romanzo, ho come la sensazione che mi manchi qualcosa.
10. A quale altra domanda avresti voluto rispondere?
Non mi viene in mente altro, non sono pratica di interviste, ma le domande che mi avete rivolto mi sono piaciute.


Tullio Avoledo sarà ospite della Biblioteca giovedì 23 novembre alle ore 18.00 per la rassegna Giallo in Biblioteca e dialogherà attorno al suo ultimo libro “I cani della pioggia” con Felice Galatioto.

Sono nato per caso in un paese del Friuli nel 1957, l’anno dello Sputnik.
Mentre nascevo passava fischiando la Littorina delle quattro del pomeriggio, su una ferrovia che ora non c’è più e che costeggiava la casa dei miei, una vecchia casa contadina col cesso in cortile. Era estate.
Da allora viaggio nel tempo, alla velocità di un minuto al minuto. Guardo le cose, certe non le capisco, certe le amo. Dipende. Il mondo e le sue trasformazioni non cessano mai di stupirmi. Sono un viaggiatore eternamente incantato.
Mi è capitato di vivere molte vite, di fare diversi lavori, di conoscere tante persone che mi sono diventate care. Ora ho un’età in cui le cerimonie degli addii si fanno più frequenti, e gli amici lasciano la sponda della vita per raggiungere l’altra riva, e la cosa mi dispiace e mi riempie di un senso di ingiustizia. So ovviamente che il tempo è solo un’illusione, ma fa male lo stesso, dirsi addio.
Non sono ancora triste, solitario y finàl, ma la mia resistenza ormai è solo nei libri che scrivo, e che sono talmente tanti che spesso ne confondo o non ne ricordo i titoli, o le storie. Ma sono lì, e se volete potete andarveli a cercare sugli scaffali di una biblioteca, dove pian piano stagioneranno e acquisteranno, spero, il profumo delle cose antiche.
In questa nota poco biografica ma molto mia ho inserito le tracce per trovare tre libri che mi sono cari. Tutto il resto lo trovate su Wikipedia o sul risvolto di uno dei miei libri.
Non ho altro da dire, vostro onore, se non che dalla vita invoco il minimo della pena.

1. Perché hai scelto il lavoro/mestiere che fai?
Il lavoro che faccio per poter vivere (mangiare, proteggere me e la mia famiglia dal freddo, ecc.) è il legale in una banca, attualmente impiegato presso il suo ufficio reclami. Scrivere non lo considero un lavoro ma un’arte, oltre che un grido di libertà. Non certo un lavoro.
Il lavoro che faccio per vivere non l’ho scelto, ma come tutte le cose della vita me lo sono fatto piacere, trovandoci anche dei lati buoni. Ho, nei confronti della mia vita personale, un’attitudine zen.
La scrittura non l’ho scelta. È lei che a un certo punto della mia vita ha scelto me. C’era una storia che voleva essere scritta, mi ha urlato dietro “ehi, guarda che devi scrivere cosa sta succedendo a questo Paese. Fermati e ascoltami.”
Io mi sono fermato ad ascoltarla, e l’ho trascritta in parole, e da lì ogni cosa è venuta…
2. Qual è l’aggettivo che meglio definisce la tua attività?
Parliamo di lavoro o di scrittura?
Fa lo stesso.
Un aggettivo? “Sorprendente”.
Se potessi invece scegliere un sostantivo sceglierei “sprezzatura”, una parola coniata da Baldassarre Castiglione che significa “usar in ogni cosa una certa sprezzatura, che nasconda l’arte e dimostri ciò, che si fa e dice, venir fatto senza fatica e quasi senza pensarvi…”
3. Qual è il tuo primo ricordo di una biblioteca?
Uh, ma quanto devo tornare indietro nel tempo…?
Va bene. La prima biblioteca che mi viene in mente è quella dell’adolescenza, ospitata nell’antica torre della porta principale di Valvasone. Era un posto meraviglioso, dove passare il pomeriggio in compagnia dei classici o dei libri nuovi che il bibliotecario mi proponeva, conoscendo i miei gusti. Pratolini, Bassani, Tobino, Fruttero e Lucentini…
Ricordo l’ansia con cui attendevo i nuovi arrivi settimanali, e la gioia di certe scoperte.
Prima ancora c’era stata la biblioteca della scuola, in cui pochi anni prima aveva insegnato Pier Paolo Pasolini. Libri dalle copertine grigie, che io e un mio compagno di classe delle medie facevamo a gara per divorare, spaziando dai classici russi e francesi a Salgari e alle biografie dei grandi personaggi storici. Leggevamo tanto. Non perché non ci fosse di meglio da fare ma perché era un modo di allargare il giro della prigione.
4. Come definiresti la biblioteca?
Prendo a prestito le parole di Adriano dall’opera di Marguerite Yourcenar che amo di più.
Fondare biblioteche è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire”.
5. Cosa ti piace di più in una biblioteca?
La gratuità del sapere. La mancanza di egoismo, di senso del possesso.
6. Quale è stato il primo libro che hai letto?
Pretendete troppo. È una risposta facile solo per uno scrittore giovane, o per uno di quegli scrittori di ogni età (ma io li chiamo scrivanti) che leggono così poco (lo si vede da come scrivono) che probabilmente avrebbero la risposta pronta.
Onestamente, non ricordo. Penso, spero, che fosse un libro per bambini. E poi, certo, l’enciclopedia Conoscere, di cui i miei avevano comprato solo tre volumi e che è stata per me una seconda scuola.
7. Quale libro ti ha lasciato un ricordo speciale?
“Cuore di tenebra” di Joseph Conrad. Se la mia biblioteca bruciasse e potessi salvare un solo libro sarebbe quello.
8. Quale libro consiglieresti a un giovane lettore?
Un libro di Ursula Le Guin, “I reietti dell’altro pianeta”.
Oppure “Straniero in terra straniera” di Robert Heinlein. La fantascienza fa bene a tutte le età, ma soprattutto ai giovani. Apre gli orizzonti. Scavalca steccati, e spesso li abbatte.
9. Leggere fa bene? E perché?
Leggere non fa né bene né male. Dipende da quello che si legge. È un’attività lenta e faticosa, che richiede un investimento di tempo e di concentrazione notevoli. Stanca la vista. È quindi bene selezionare attentamente quello che si legge. Esattamente il contrario di quello che faccio io, che leggo sempre, e di tutto…
10. A quale altra domanda avresti voluto rispondere?
Che ore sono?

Valentino Ronchi sarà ospite della Biblioteca mercoledì 18 novembre alle ore 18.00 per il primo appuntamento del nuovo format pensato dalla Biblioteca e dedicato alla poesia, “SpineaPoesia” durante il quale ci condurrà tra le pagine del suo libro “Buongiorno ragazzi”.

Valentino Ronchi, nato a Milano nel 1976, ha fatto e fa il libraio, lo scrittore e l’editor.
Ha pubblicato il romanzo Riviera (Fazi 2021) e i libri di poesia Buongiorno ragazzi (Fazi 2019), Primo e parziale resoconto di una storia d’amore, (nottetempo 2017) e L’epoca d’oro del cineromanzo (nottetempo 2016).

1. Perché hai scelto il lavoro/mestiere che fai?
Per stare vicino alle cose che amo e il più possibile lontano da quelle che non amo.
2. Qual è l’aggettivo che meglio definisce la tua attività?
“Mia”, direi se non fosse che i possessivi sono i più fastidiosi fra gli aggettivi e se possibile li scanso.
3. Qual è il tuo primo ricordo di una biblioteca?
Ci sono entrato tardi, confesso a voi, amici di Spinea. Ma poi mi sono rifatto, all’università: tutte insieme, la Sormani, quella della Statale, quella della Cattolica. Passavo da una all’altra, compilavo cedolini, scartabellavo meravigliosi cataloghi cartacei, che uscivano dai cassetti. Ci saranno ancora? E poi mi mettevo in attesa, come per un appuntamento.
4. Come definiresti la biblioteca?
La parola stessa biblioteca è meravigliosamente carica, ricca, e per questo sfugge alle definizioni: si definisce da sola. È una di quelle parole semplici, che hanno la fortuna di avere in sé tutto il loro potenziale evocativo.
Pensate: “La prima volta la vidi che usciva dalla biblioteca.” Oppure “Me ne stavo seduto in biblioteca”. “Lavorava da quindici anni in una biblioteca”. Sono già microstorie queste frasi, solo per il fatto di contenere la parola.
5. Cosa ti piace di più in una biblioteca?
Le persone che ci sono dentro. Ma anche quelle che ne escono, con un nuovo prestito sottobraccio, e quelle che, speranzose, ci stanno entrando.
6. Quale è stato il primo libro che hai letto?
Ricordo un “Il vecchio e il mare“, letto da solo, in mattina, a casa con la febbre.
7. Quale libro ti ha lasciato un ricordo speciale?
Il Grande Meaulnes“, “La linea d’ombra” e “Il giovane Holden“.
E, più da grande, “Libera nos a malo“.
8. Quale libro consiglieresti a un giovane lettore?
Le notti bianche“. Meno di cento pagine, spalancano un mondo.
9. Leggere fa bene? E perché?
Fa bene, fa male, fa. Come la vita.
10. A quale altra domanda avresti voluto rispondere?
Por qué tienes nombre tù? Perché hai un nome tu? È una domanda che fa Pedro Salinas “La voce a te dovuta”. Ma grazie a Dio non me l’avete fatta, almeno per questa volta.

Paolo Domenico Malvinni sarà ospite della Biblioteca sabato 14 ottobre in occasione della Festa per i 20 anni dei Gruppi di Lettura della Biblioteca di Spinea.

Paolo Domenico Malvinni, nato parecchi anni fa a Riva del Garda. Per me un’acqua importante quella del grande lago, non posso lasciarla per troppo tempo.
Nell’anno 2000, dopo un semestre negli USA mi mancava quasi il respiro.
Detto questo, utile anche a dire che amo molto viaggiare, andiamo verso il punto: comincio da poeta ma non pubblico poesie (ci ho fatto un video).
Narratore e saggista oggi. È il testo in qualsivoglia forma che mi incuriosisce. Per questo, sempre molti anni fa, scelsi di studiare semiotica e mi laureai a Bologna con il prof. Umberto Eco.
E c’è pure uno spirito di divulgatore e promotore che mi anima, un carburante che mi ha sostenuto molto nelle attività in biblioteca e nei servizi culturali. Ma andiamo a rispondere alle vostre domande.

1. Perché hai scelto il lavoro/mestiere che fai?
È lui che ha scelto me. Posso fare altro solo per qualche settimana, poi rischio di dare i numeri.
Cominciai a lavorare nella sede RAI di Trento, ma cercando maggiore “solidità culturale”, non solo il posto di lavoro, vinsi un concorso da bibliotecario presso la civica della cittadina natale.
Poi, e me ne rendo conto dopo qualche decina di anni, mi ritrovo sempre, in diversi modi, sul punto: il testo, come lo si produce, come viene interpretato, come si diffonde.
2. Qual è l’aggettivo che meglio definisce la tua attività?
Dico “creativa” ma a dire il vero preferisco “inventiva”, che però è un sostantivo.
Per capirsi: attività che prevede la ricerca di soluzioni funzionali ad uno scopo.
Con diverse varianti: ricerca rimuginata, concordata, discussa, solitaria, collettiva…
3. Qual è il tuo primo ricordo di una biblioteca?
Per me bello e tenero.
Il ricordo del bibliotecario gentile e istruito, quello che non sgridava mai, e se vedeva che curiosavamo in un certo scaffale o davamo segno di essere interessati a qualche argomento, ci dava dritte e ci passava libri (anche da casa sua).
4. Come definiresti la biblioteca?
Fontana (pubblica) del sapere: luogo che asseconda il diritto ad abbeverarsi, il diritto all’accesso.
E non solo diritto: quindi anche fonte alla quale rivolgersi per rispettare quel dovere di accedere alla conoscenza che facilita il vivere civile.
5. Cosa ti piace di più in una biblioteca?
La libertà.
E se qualcuno non capisce la risposta così secca, dia un’occhiata alle linee guida IFLA.
6. Quale è stato il primo libro che hai letto?
Era una enciclopedia, quella dei ragazzi della Mondadori, vecchia edizione incompleta che era in casa da prima del mio arrivo e non si trovava su uno scaffale ma in un ripostiglio.
7. Quale libro ti ha lasciato un ricordo speciale?
Proprio quei volumi che contenevano racconti, leggende, info storiche e scientifiche.
Una porta d’accesso, anche se non spalancata, alle storie che mi affascinavano, quelle fantastiche, e quelle dove i dati sono ripresi dalla realtà (con tutti gli sforzi che questa attività comprende).
8. Quale libro consiglieresti a un giovane lettore?
Durante i primi anni “al pubblico” ne ho guardati negli occhi a centinaia di lettori di tutte le età.
Sbirciavo la scheda con l’elenco di ciò che leggevano, poi buttavo lì una mezza domanda, e poi proponevo un paio di titoli e invitavo a visitare gli scaffali.
La biblioteca non è la scuola, quindi sempre con un tono che significa: cerca il tuo titolo, ma se non va, lascia pure, cercane un altro. Daniel Pennac nel 1992 raccontò e descrisse meglio questi margini di libertà che già si trovavano nel DNA dei bibliotecari di pubblica lettura a scaffale aperto.
9. Leggere fa bene? E perché?
Leggere fa bene perché se alla seconda riga non hai capito la prima non vai avanti e devi tornare indietro. Un lavoro che allena la mente ed è fondamentale: per la capacità di concentrazione, per la formazione di un minimo di struttura logica. E prende avvio (e ci si allena a questo), un dialogo interpretativo che è tra noi e noi, e tra noi e il testo. Fa così bene, e ne eravamo così convinti già dagli anni Ottanta, che sdoganammo la letteratura di genere, detta di serie B. L’intenzione non era assecondare il mercato, ma assecondare i lettori.
10. A quale altra domanda avresti voluto rispondere?
Se c’è un futuro per le biblioteche di pubblica lettura. E direi sì. Deve esserci.
Fanno parte di quelle attività che contribuiscono alla diffusione della conoscenza e della “educazione” in senso largo. E chiediamoci: esistono altri luoghi in cui queste attività possono svilupparsi a prescindere da “condizionamenti” di vario genere?
Esistono altri luoghi nei quali il dialogo, penso ai gruppi di lettura, può mantenersi libero e utile al reciproco scambio di conoscenza e scambio di diversi orientamenti del pensiero?